Recensioni / Un libro per l'estate

Georges Perec, Un uomo che dorme (Quodlibet) Per molto tempo ho dato per scontato l'estate. Come molti di quelli nati in città di mare, ho sempre considerato tutto il complesso militar-turistico-vacanziero un peso da sopportare più che qualcosa di cui godere. Non sapevo che ero solo privilegiato. Forse per questo i primi anni a Torino ho imparato ad apprezzare il fascino discreto delle estati cittadine, la malinconia dei dehors abbandonati, lo smarrimento delle serrande abbassate, l'amarezza delle amicizie interrotte. La noia malmostosa, i giri a vuoto, le birre da solo ai bar dei cinesi. C'è un libro che descrive benissimo questo sentimento, questo tipo di estate di camminate e solitudine, ed è uno dei più bei libri che abbia mai letto. L'ha scritto Georges Perec nel 1967 e si intitola Un uomo che dorme (in italiano si può leggere tradotto da Jean Talon per Quodlibet). Hai venticinque anni e una mattina di inizio estate dovresti andare a sostenere un esame. E invece: niente. Smetti di fare qualsiasi cosa, di studiare, di essere figlio, amico, fidanzato, lavoratore, di essere un membro produttivo della società. Inizi a camminare per la città, Parigi, per ore, a caso, ti infili nei cinema a guardare film che non ti interessano, prendi un espresso o un bicchiere di rosso ai banconi di zinco dei café, torni nella tua stanza da fuorisede, dormi. Un'educazione sentimentale alla solitudine e all'indifferenza. Così per tutta lestate. Sì, potrebbe sembrare il manifesto del normcore radicale, ma in realtà è la storia di una depressione. La cosa bella è che verso la fine del libro c'è una specie di inversione a U, di illuminazione diresti, se solo non avesse il carattere dolce e graduale della guarigione. Capisci che quell'atteggiamento, che ti sembrava tanto nobile e saggio, non fa altro che farti sprofondare ancora di più nell'inautentico: «Non hai imparato niente, tranne che la solitudine non insegna niente, che l'indifferenza non insegna niente: era un'impostura, una fascinosa e ingannevole illusione. Eri solo, tutto qui, e volevi proteggerti; volevi tagliare per sempre i ponti tra te e il mondo. Ma tu sei così poca cosa, e il mondo un tal parolone: alla fine, il tuo non è stato altro che un errare in una grande città e costeggiare chilometri di facciate, vetrine, parchi e lungofiume». E sai una cosa? «Non sei morto e non sei diventato più saggio». Che poi è quello che succede sempre alla fine di ogni estate. C'ho messo un po' ma alla fine l'ho capito anche io.