Un giorno, non importa quando o perché, ci si chiede una definizione di
cosa. Non conviene porsi il quesito “che cos'è?”, perché si ricorrerebbe
alla stessa parola per definirla; né è facile districarsi tra le tante
possibili “cose”. E' il nome più indeterminato che si riesca a pensare
e, al tempo stesso, quello con cui diventa semplice indicare quasi tutto
l'esistente. Con tale termine, inoltre, si potrebbe intendere un'antica
città romana, ma anche un comune dell'Aragona in Spagna; molti libri
l'hanno nel titolo e sovente si trasforma in un enigma. Inoltre ci sono
fiumi o torrenti e perfino un supereroe (dell'universo Marvel) che si
chiamano “Cosa”; quindi ecco i filosofi: ma, in tal caso, ci rifugiamo
in un esempio ricordando che per comprendere il concetto de “La cosa in
sé” occorre rivolgersi a Immanuel Kant; e il sommo pensatore tedesco vi
dirà che essa designa la realtà in assoluto, al di là di qualsiasi
esperienza possibile, in opposizione a quelli che chiamiamo fenomeni.
Se vi è capitato di incontrare il quesito da cui siamo partiti, allora
conviene che leggiate il piccolo ma denso e intelligente libro di Yan
Thomas (storico del diritto romano e intellettuale inclassificabile,
scomparso nel 2008) da poco pubblicato presso Quodlibet, attento e acuto
editore di Macerata: “Il valore delle cose” (pp. 108, euro 12). Non è
una dissertazione sulla “cosa”, meno che mai un repertorio dei tentativi
di definirla, ma ben più concretamente questo studioso partendo dal
concetto romano di “res” (la cosa, appunto) esamina “la costituzione
giuridica delle cose o meglio, e più precisamente, lo statuto conferito
alle cose da quelle procedure tramite le quali esse sono qualificate e
valutate come beni”. In altri termini, in tali pagine Yan Thomas discute
il primato giuridico della proprietà proponendo una nuova archeologia
delle “cose”.
Nota ancora l'autore: “E' un errore prospettico considerarle, come si è
fatto così spesso, dal punto di vista della fisica e della metafisica
greca, poiché ciò impedisce di vedere come il loro regime dipendesse in
realtà da una costituzione del loro valore”. La cura dell'edizione
italiana si deve a Michele Spanò, che pone in calce al libretto una
postfazione dal titolo “Le parole e le cose (del diritto)”; l'opera è
preceduta da un saggio di Giorgio Agamben.
Buone domande sulle “cose”, si avrebbe voglia di aggiungere. Ricordatevi
soltanto che senza “cosa” non c'è merce, quindi mercato, ma non tutte
le “cose” hanno un prezzo.