Recensioni / Poetiche del sensibile. Rita Messori tra estetica e ermeneutica del linguaggio

Linguaggio ed esperienza. Sono questi i due concetti cardine attorno ai quali ruota Poetiche del sensibile. Le parole e i fenomeni tra esperienza estetica e figurazione di Rita Messori, edito per la Quodlibet Studio, Macerata, 2013. Come può il linguaggio dire l'esperienza sensibile, il rapporto con le cose, con gli altri? Come riesce il linguaggio a restituire il mondo fenomenico in continuo mutamento? Il canale preferenziale è uno ed è quello della poetica. Il liguaggio poetico è l'unico che riesce in maniera sempre differente a restituire un po’ di quello che i nostri sensi colgono e a figurarlo con il linguaggio. Riesce dove la filosofia molte volte inciampa: rimanere in contatto con il mondo dei fenomeni, di ciò che appare davanti a noi e che solo con i nostri sensi riusciamo a cogliere. Il linguaggio è secondo all’apprensione della realtà, che, però, ha in esso la sua dipendenza.
Sullo scarto tra linguaggio, realtà ed estetica si muove il libro di Rita Messori, partendo da quattro filosofi: Maurice Merleau-Ponty, Paul Ricoeur, Mikel Dufrenne e Henry Maldiney. Nell’intreccio teorico di questi quattro autori vi è un possibile legame tra la realtà e il linguaggio, nelle sue forme più astratte. Siamo sempre in relazione con i processi figurativi attraverso i quali la realtà si forma e da questi dobbiamo partire per meglio capire in che modo questi ci formino e ci cambino.
Merleau-Ponty parte dal presupposto che il linguaggio rimandi sempre a ciò che significa, da sempre dà accesso a quello che è il pensiero di chi lo ha formato. Si parte sempre dal non detto, dal silenzio che crea quello che viene dopo di esso. A partire dal silenzio, il linguaggio si cancella e dà accesso al pensiero. Le parole partono sempre dall’esperienza estetica, perchè ci si apre all’esperienza della dimensione del possibile solo grazie ad una rete di relazioni. Il linguaggio, quindi, è incrostato nel sensibile e ha lì il suo posto. Compito di chi fa l’esperienza del fenomeno è quello di portare alla parola ciò che è già inscritto nel visibile.
L’intento è quello di fare un'ermeneutica nel solco della fenomenologia, intento principale anche di Paul Ricoeur e del suo studio del simbolo. Cos’è il linguaggio se non l’insieme di simboli che convenzionalmente abbiamo deciso essere universali? La simbolicità secondo Ricoeur risiede nel rapporto col mondo come frutto di una capacità di un soggetto concreto, spazio-tempo situato, di creare delle unità articolate di senso in quanto forma in fieri. Il linguaggio diventa un’urgenza orientativa, che nasce dall’esperienza delle cose, perchè è inscritta in esse. Il passo successivo, quindi, è pensare per immagini. In questo senso la metafora (terreno di studio approfondito da Ricoeur) dischiude una comprensione strutturale del modo di funzionamento delle immagini. La nostra comprensione del mondo parte dalle immagini, le parole stesse richiamano un’immagine nel momento in cui le diciamo. La metafora diventa il modo migliore per comprendere il mondo attorno a noi; si situa dopo il simbolo e prima del racconto. È una finestra aperta sull’enigma della creatività, là dove bisogna integrare livelli di senso accavallati, frenati e contenuti insieme. La metafora quindi scopre ciò che crea e inventa ciò che scopre, si colloca tra la logica del senso e l’ontologia della referenza. È essere nel mondo secondo una appartenenza partecipativa irrecuperabile.
Il linguaggio usa la metafora per avvicinarsi ancora di più all’incompiuto compimento che essa è. Secondo Dufrenne il linguaggio esprime legami e nessi, vincoli che uniscono in un rapporto di co-costituzione l'uomo e l’altro da sé. La connessione con quello che ci circonda non riguarda solo i fenomeni, ma anche le persone, gli altri con cui siamo connessi. Se il linguaggio mette in comunicazione col mondo attraverso i segni, l’uomo è nel linguaggio come è nel mondo. Nulla quindi come il linguaggio metaforico testimonia l’espressività del sentimento. Il sentimento, l’esperienza estetica è potenzialmente linguistica e per questo può essere detta, anche se parzialmente. Ogni forma di conoscenza ha inizio con l’esperienza e il linguaggio metaforico è il luogo fenomenologico in cui è possibile cogliere il nesso vitale tra esperienza estetica e fenomeno. Quando l’esperienza estetica culmina nel sentimento, il linguaggio nasce e tra la presa di distanza e la comunione si trasforma in comunicazione.
Rimane quindi che il miglior luogo per riuscire ad esprimere quello scarto tra linguaggio, realtà ed estetica è sempre lo spazio poetico. Spazio che per Maldiney non può che essere uno spazio acustico. Il ritmo diventa il principio comune delle arti come forma di spazializzazione, conferisce agli elementi la dimensione in base alla quale si forma la forma. Il ritmo informa la nostra recettività e nasce dal vuoto. Vuoto che: «non si oppone al pieno ma lo dinamizza, lo mette in movimento, ne libera delle inedite riserve di senso». Agisce come un fremito nel pieno, dinamizzandolo, mettendo in movimento le forme. Il ritmo che vien fuori dal vuoto fa essere fenomenicamente le cose che toccano i nostri sensi e si rapportano alla metafora, espressione della tonalità affettiva.
In un gioco di musica e poesia, il linguaggio vien fuori come unico motore del nostro sentire e percepire il fenomeno che ci circonda.
L’intento del libro della Messori, insomma, non è quello di dare risposte ma di aprire nuovi orizzonti di senso, tra ermeneutica ed estetica. L’agire della parola sui nostri sensi diventa mezzo di espressione ed azione, di un trovarci con noi stessi e con l’altro.
Non è solo l’analisi di questi quattro autori, ma il non detto che vien fuori dal vuoto a portarci verso un nuovo punto di vista, un nuovo modo di vedere le cose. Le parole di questo libro vogliono essere allora come il ‘suono’: «suono che ci pervade e ci afferra come qualcosa che improvvisamente, inaspettatamente, si manifesta e irradia, come qualcosa che ci coglie di sopresa [...]. Inoltre, il suono è un evento presenziale: lo spazio da esso formato è di risonanza e comunicazione: soggetto e oggetto non sono più posti difronte, ma scoprono di essere originariamente legati l’uno all'altro all'interno di un movimento ritmico (...). L’articolazione ritmica del suono è perciò formazione sia dello spazio sia del tempo, di uno spazio-tempo eventuale».
Il ritmo è, dunque, una delle possibili chiavi di lettura di questo testo. Il pensiero che la natura abbia un ritmo con il quale si misura e viene ad essere fenomeno, permette al nostro linguaggio di comprenderla e di riuscire ad afferarla, seppur in modo parziale.
L’intento di Rita Messori è, in ogni caso, quello di darci una nuova finestra sul modo di interpretare il mondo, partendo da quelli che, in fin dei conti, sono i linguaggi familiari all’uomo, oltre quello della parola: la poetica e la musica.
«La parola è espressiva quando ci accorda a ciò che designa, quando il suono ci fa risuonare come risuoneremmo difronte all'oggetto, prima ancora di conoscerlo con precisione secono un determinato aspetto, appena si presenta a noi in quella pienezza ancora ambigua del primo incontro.»
Il manifestarsi del mondo è l’orizzonte speculativo entro cui il linguaggio può essere indagato. Il linguaggio può dire dell’esperienza sensibile nel momento in cui noi ci lasciamo andare e ci accordiamo ad essa, sentendola nella sua totalità. Il fatto di riuscire a sentirla, però, non implica il poterla a pieno descrivere, il poter appieno parlarne. Per questo in aiuto ci vengono incontro i linguaggi della poesia e della musica. E, allora, ripartiamo da quelli. Ripartiamo da un nuovo orizzonte espressivo dal quale riuscire a trarre la totalità del mondo. Ripartiamo dalle poetiche del sensibile.