Perché parlare di corridoi, elemento statico, che evoca un’idea di
ordine e che al massimo congiunge qualcosa a qualcos’altro, quando
invece l’attenzione della nostra epoca è sulla fluidità circolare della
rete che commette tutto orizzontalmente? Perché ogni rete è costituita
da corridoi, i quali, come aveva rilevato già dieci anni fa Rem
Koohlaas, sono divenuti “destinazioni”.
É da quella apparente antinomia e dalla fertilità semantica che invece
si schiude un’analisi più attenta, che prende corpo il saggio di Irene
Guida, intitolato seccamente Corridoi, con un sottotitolo che anticipa
la densità del testo: La linea in Occidente (Quodlibet, 2015). Volumetto
eccentrico, perché tratta di un tema a prima vista marginale, rispetto
appunto alla celebrata centralità della rete. Ma Irene Guida non è
un’autrice banale e i suoi Corridoi aprono prospettive intriganti.
Congiungono la nostra riflessione verso “destinazioni” impreviste. Che
non riguardano solo la configurazione urbana e territoriale, dove il
corridoio diventa un dispositivo del controllo, pensiamo ai corridoi
obbligati degli aeroporti e ormai anche delle stazioni, oppure ai
“corridoi umanitari”, oggi sono all’ordine del giorno. Il corridoio è
anche una realtà porosa, permeabile, simile ai Passages, su cui si è
espressa tanta letteratura, e oltre. Irene Guida ne esplora anche la
valenza metaforica, facendo appello ad alcuni artisti: Kosuth, i
Kabakov, Marina Abramovic e Bruce Nauman. E invita il lettore a
percorrerli insieme ad alcuni illustri pensatori di oggi come Foucault e
Giorgio Agamben.