Recensioni / La Milano struggente di Viola e Jannacci

Fortunatamente per noi, la madre di Beppe Viola preferiva un asino vivo a un professore morto: quando nevicava, consigliava a suo figlio di starsene a casa al caldo. Il padre, poi, era più attaccato alle scommesse a San Siro (ippodromo) che al risparmio. Se così non fosse stato, il figlio sarebbe nato ricco, di quelli che «quando vengono al mondo parlano quattro lingue, sono abbronzati e hanno le mèches», dopo la prima bocciatura lo avrebbero spedito alle scuole private e poi all'università, anziché ad arrangiarsi da solo e noi ne avremmo guadagnato, con ottime probabilità, un giornalista asino, solone e «perbenista senza patria né paura», uno di quelli che più che il tennis, a Wimbledon, amano la duchessa di Kent e quando finisce il campionato sono felici che si parli di esteri e finanza, di cui non frega assolutamente nulla a nessuno, soprattutto a loro.
Invece, Beppe Viola è cresciuto in via Lomellina, lontana 70 minuti a piedi da Corso Magenta, dove c'è il collegio San Carlo per i bambini che nascono italo-anglofoni, e vicina 4 minuti, sempre a piedi, da via Sismondi, dove abitava Jannacci, suo grande amico. Lì ha morosato con la Franca, donna che ha sposato e con la quale ha fatto quattro figli, mantenuti tutti tramite stipendio da giornalista col tesserino, però non tesserato. «Trattare Viola come un giornalista che fa ridere o un umorista che si guadagna il pane facendo servizi sportivi per la tv è un modo per allontanarlo», scrive Stefano Bartezzaghi, nell'introduzione a Vite vere compresa la mia (Quodlibet, pagg. 288 pagine, euro 17), il libro-raccolta delle vite di Viola, Gianni Rivera, Pozzetto, che Beppe pubblicò nell'81 per la Milano Libri Edizioni, la stessa casa editrice che fondò Linus. Bartezzaghi non spiega cosa sarebbe meglio dire per avvicinarsi a Beppe Viola (breve bio: giornalista Rai, morto in redazione nell'82, a 43 anni, mentre veniva montato un suo servizio su Inter-Napoli, mai avute troppe promozioni).
Viola si spiega benissimo da solo, basta leggere Vite vere compresa la mia, che sembra scritto dopodomani, sebbene racconti, di sguincio, una città che ci si affanna a definire sparita, ma che è, più che altro, nascosta. La Milano di Jannacci e Cochi e Renato che insieme non facevano brainstorming bensì bevute di bianchino spruzzato col campari «e abbellito col limone», la Milano senza la darsena color Vodaphone e col Matarel (trattoria a Brera), che ha da poco perso il suo gestore, uno che se gli ordinavi una mozzarella ti dava del turista se era di buon umore e del terrone se era di ottimo umore. La Milano che si teneva in forma perché sapeva di essere più struggente che bella e oggi pretende di essere solo bella, si esibisce, ospita l'Expo e lo fa un po' a forma di sagra, come avrebbe fatto Roma, ma mille volte meglio, perché è pur sempre Milano. Non è sparita, però si nasconde perché è diventata più provinciale come accade quando si vuole essere per forza internazionali. E nasconde anche quelli come Viola, uno che scriveva liberamente di terroni che abitavano vicino ai giardinetti di Viale Argonne senza che nessuno riuscisse a sentirsi offeso; inceneriva chi salmodiava sull'inutilità del calcio senza capire che un popolo, senza partite di cui parlare, è costretto a parlare di politica, cioè a fare la guerra; era capace di pagine di misericordia verso i ladri della sua macchina («i giornali sul cruscotto li ho letti tutti, buttateli pure») ma non verso i tennisti «borghesucci di carriera» che avevano dimenticato il loro pubblico di «proletari in attesa».
Immune all'inglese, Viola ha vissuto soprattutto tra gli studi Rai di Corso Sempione e San Siro (stadio), il «luogo di esasperato romanticismo dalle 14.30 alle 16.15 di ogni domenica» che gli dava il pane, godendosi flusso della sua intelligenza che spogliava sempre tutto tanto che sembrava cinismo. «Ma la voce della coscienza», scrisse Beppe e aggiunse: «Toh, anche lei a Milano?». Non poteva essere cinico uno che viveva in una città dove s'incontra la voce della coscienza per strada: per questo Milano ha salvato l'Italia e la salverà di nuovo, compresa Roma, che tanto dista solo 2 ore e mezza di treno Alta velocità.

Recensioni correlate