Uno sfondo rosso mattone e sopra un faccione disegnato che nemmeno la
matita sovversiva di Altan è riuscita a rendere sconosciuto,
illeggibile. Pochi centimetri più in alto c'è scritto Beppe Viola, e
qualsivoglia dubbio scompare. Vite vere compresa la mia, c'è pure
scritto, e tutto insieme forma la copertina che al pari degli scritti è
stata mantenuta pari pari all'originale, datato 1981, da quelli di
Quodlibet, coraggiosi a riproporre il volume che rappresenta il fior da
fiore di un genio riduttivo, sbagliato parlare solo di giornalismo
rimasto ancora pezzo unico nel panorama culturale italiano e milanese in particolare. «Lì c'è
dentro il Beppe Viola più autentico, le cose più sue e se lo dice
Giorgio Terruzzi, erede di penna e di anima, ci si può credere dalla
visione dello sport tipo Romanzo Popolare, il film di Mario Monicelli
per cui scrisse i dialoghi, ai bar perduti di una Milano straordinaria,
colma di energia, piena di tutto, dal cabaret all'architettura, dai
nuovi imprenditori ancora odoranti di strada alla malavita con la "m"
minuscola». E a fianco di un Gianni Rivera e di un Cochi Ponzoni e
Renato Pozzetto, ecco allora emergere dalla serie dei racconti
pubblicati originariamente per il Linus di un altro gigante di quella
Milano, Oreste Del Buono le vite vere di Ninone Del Tonno, così chiamato
per avere della sua auto stipato il baule con scatolette e pacchi di
pasta, si sa mai di avere un languorino, oppure della Malpensa, che
ballava così bene «che pareva che i piedi non poggiassero per terra e la
gente diceva, và quella lì, sembra che voli». «Per non parlare del
carattere di "Wonderful a me?", tipo che ho conosciuto veramente fa
sponda Terruzzi -, o del testo iniziale, "Mio padre giocava ai cavalli,
mio nonno a scopa", lì c'è lui, la sua famiglia, la sua vita. I suoi
personaggi nascevano da un istinto guidato dalle facce, microscopici tic
e gesti che opportunamente isolati e messi in un contesto diventavano
storia, gag. Tutto quasi sempre preso dal marciapiede, il marciapiede
sacrosanto per Viola. E poi l'ippodromo, o il suo "ufficio" alla
Pasticceria Gattullo, popolata dagli "abbronzati a novembre" che allora
saltavano all'occhio e oggi sono in maggioranza, al potere. La
leggerezza combinata al suo vivere faceva sì che tutto fosse naturale,
un attimo e tac, la storia era lì». Vite vere, compresa la sua, quella
di "Pepinoeu", come lo chiamava Gianni Brera: tra la matrigna Rai e
l'agenzia da lui creata, un laboratorio giornalistico zeppo di
creatività, dove il ragazzo di bottega Terruzzi si guadagnava la micca
tra bastonate col sorriso del maestro e spedizioni in rosticceria, «un
progetto bellissimo, frequentato da una fauna strepitosa. Ai tempi
dell'uscita del libro la sua vita era lì, Rai permettendo. Il cinema, il
Derby e anche un certo rapporto più felice con Jannacci appartenevano a
un tempo precedente».
E il problema è che oggidì a un tempo precedente appartiene l'universo
Beppe Viola: «La verità è che rimane una nicchia di innamorati di certe cose. Nessun editore, nessun direttore intende più o privilegia la qualità, quel giornalismo fatto di diritti e di
doveri, di scrittura, di genio creativo. Morirà con la nostra
generazione, temo». Pensieri amari. Ai tenutari della poca e residua
cultura il compito di muoversi, smentirli. Nel frattempo meglio
ripassarsi qualche vita vera.