Quando ho scoperto Superstudio era notte. All’epoca stavo davanti al
computer un numero indefinito di ore e alla notte relegavo infinite
sessioni di pura navigazione, trovando finalmente un senso a questo
verbo, navigare, perdendomi negli antri nascosti della rete rinvigorendo
il senso di noiosa reiterazione di aggiornamento delle pagine, o, ben
più raramente, scoprendo cose molto interessanti.
Quella notte ho visto questi assurdi collage pieni di tavole e piani e
sfondi quadrettati all’apparenza infiniti, ho visto donne bellissime
accovacciate a suonare il flauto all’interno di divani in peluche rosa
confetto, sedute che di profilo avevano la forma di orecchie umane ma
che non si sottraevano a un’interpretazione sessuale, calda, e legata
alla riproduzione, in grado di riconnetterle all’idea della vagina e
dell’utero della vita.
Ho visto gruppi di hippie sdraiati sul piano levigato e senza fine di un
suolo terrestre sospeso nello spazio, li ho visti bere vino,
accarezzarsi, sorridere. Ho intravisto bambine, famiglie, aspirapolveri e
assi da stiro collocati al centro di un prato perso nel nulla,
decontestualizzato, il verde di quella che avrei scoperto chiamarsi
supersuperficie.
Non avevo idea di cosa fossero quelle immagini: immersa nelle leggi
della Repubblica di Tumblr, perdevo la testa per loro e mi sentivo
progressivamente sempre più attratta da queste geometrie quadrettate che
si scontravano con queste figure umane provenienti dal tempo della
Contestazione, del Movimento Studentesco e ancora di Woodstock, della
liberazione sessuale, di forme di vitalità già portatrici naturali di
un’ombra sul colore e sul bianco e nero, l’ombra degli anni Sessanta che
sfociano nei Settanta.
Solo dopo molti viaggi nel cyberspazio del mio computer mi sono dedicata
a ricostruire la provenienza di questi fotomontaggi, fino a scoprire
cosa fosse Superstudio.
La legge del flusso di immagini che si presentano nei trip web del
nostro tempo è una legge fatta di click ravvicinati oltre la percezione e
di naturali propensioni ad approfondimenti vaghi, a ossessioni che
durano (stando larghi) qualche mese, a forme di invaghimento quasi
erotico nei confronti dell’icona, dell’immagine scorsa nello scorrimento
veloce delle dita sul touchpad, nel bombardamento multidisciplinare
presente nei contenuti coi quali ci scontriamo quasi sempre senza
volerlo.
Le immagini di Superstudio, collocate in questo flusso di citazioni di
Carver, gif animate di gatti con code arcobaleno, unicorni spaziali,
copertine di vecchi libri Penguin, mi sembravano contenere
un’immediatamente riconoscibile concezione futuristica del marxismo,
grazie a quelle donne e quegli uomini che, a gruppi, a coppie e più
raramente da soli, prendevano possesso di queste superfici infinite,
ridisegnando il mondo delle possibilità, quello dei quadretti,
esattamente lo stesso dei quaderni della scuola, un mondo che è
geometria, raziocino ma pure, in potenza, spazio aperto e da riempire:
fantasia.
Non mi è parso dunque strano, alcuni anni dopo, leggere queste parole di
Cristiano Toraldo di Francia, insieme ad Adolfo Natalini originario
fondatore di Superstudio nella Firenze del 1966: “restituire creatività
agli utenti, a tutti quelli a cui l’avevamo tolta, compiere una specie
di harakiri formale: era un po’ come il quaderno a quadretti sul quale
ognuno scarabocchia, colora, scrive e fa quello che vuole”.
Sviluppatosi a Firenze nel clima delle neoavanguardie e delle lotte
studentesche, Superstudio nasce in parallelo con altri collettivi di
“architettura radicale” quali Zigguarat, Archizoom e 9999,
configurandosi come quello che lo stesso fondatore Adolfo Natalini
definirà come un gruppo dall’anima bipolare.
I poli in realtà sono molti più di due se consideriamo anzitutto le
provenienze dei suoi fondatori e partecipanti. Adolfo Natalini
appartiene alla Scuola di Pistoia, è un pittore di talento che approda
all’architettura, le sue opere considerate “acide e fredde” si prendono
il giusto spazio all’interno della pop art italiana, quella che, nella
Scuola di piazza del Popolo, fioriva con Tanto Festa, Franco Angeli e
Mario Schifano.
Cristiano Toraldo di Francia, nipote di uno tra i primi macchiaioli, è
anche lui pittore, ma solo per diletto, la sua vera passione è la
fotografia, coltivata fin da giovanissimo. Figlio di uno scienziato
progettista di ottiche per macchine fotografiche, nel suo salotto di
Bellosguardo, in una casa appartenuta secoli prima a Elizabeth Barrett
Browning, grazie a incontri organizzati proprio dal padre, si abitua a
frequentare e vedere interagire e incontrarsi “le due culture”; conosce
giovanissimo, tra gli altri, un ugualmente giovane Massimo Cacciari e un
illuminato Luciano Berio.
Se la fotografia di Cristiano Toraldo di Francia, più che dall’ultima
tradizione fotografica fiorentina, è influenzata dal cinema, dalle
inquadrature e dai tagli assolutamente poco ortodossi dell’immagine
operati da Resnais e Ejzenstein, ugualmente Adolfo Natalini include
nella sua opera l’amore per la letteratura, in particolare per Carlo
Emilio Gadda, Federico Garcia Lorca e Cesare Pavese.
Pavese diventerà una costante ispirazione per l’apparato narrativo di
Superstudio che, oltre ai propri progetti e lavori di design e di
immagine, tende ad associare, proprio seguendo l’esigenza di fornire
costantemente una riflessione filosofica più ampia e all’epoca non
prescindibile, una parola che conservi il tono dell’oralità, la stessa
oralità di suoni e metriche care proprio a Pavese.
Anche Gian Piero Frassinelli, terzo membro essenziale di Superstudio,
che entra nel gruppo dopo un anno, coltiva una passione altra rispetto
all’architettura: è un lettore e studioso di antropologia, si compra i
primi libri con le prime paghette e poi si nutre di Lévi-Strauss e
Mauss, scopre la disciplina anche attraverso i documentari del Festival
dei Popoli di Firenze e coltiva in parallelo architettura e
antropologia, non lasciandosi sfuggire la connessione strettissima tra
le due scienze e impostando il proprio sapere come uno scambio biunivoco
tra questi due mondi.
A generare un primo shining su quello che poi sarà parte della
concezione architettonica di Superstudio, è l’alluvione di Firenze del
1966. Cristiano Toraldo di Francia spiega così la trasformazione della
città, durante quei giorni drammatici che stabiliscono un vero salto
indietro nel tempo, in scenari di guerra in cui persino procurarsi cibo e
oggetti di prima necessità risulta difficilissimo: “L’alluvione voleva
anche dire fine della razionalità: l’irrazionale era entrato all’interno
di questa città rigorosa, geometrica, perfetta e l’aveva completamente
sconvolta, sostituendo ai marmi e alle pietre un pavimento liquido, in
cui i monumenti galleggiavano, isolati”.
Non è difficile intravedere in questa visione l’albore di quello che
diventerà il più noto e impressionante tra i progetti di Superstudio, il
Monumento Continuo, alla cui base sta una concezione di architettura
strettamente connessa alla terra tutta, un’architettura destinata a
eliminare se stessa in quanto tale per essere sostituita da un sé che è
un oggetto unico, potenzialmente infinito, denso di possibilità
inesauribili.
Il monumento continuo nasce come la sovrapposizione bipolare tra
tecnologia e simbologia, affrancandosi da un’idea di architettura che
ripone la propria fiducia totale nella rappresentazione del monumento
oppure nella tecnologia.
Lo conferma proprio Natalini, conversando con Gabriele Mastigli nel suo
libro, preziosissimo, appena uscito per Quodlibet, La vita segreta del
monumento continuo; il lavoro del gruppo si alimenta tanto di quella
mulitidiscpilinarietà originaria quanto di questi continui contrasti:
tecnologia e monumentalismo, ma anche razionalità e irrazionalità,
laddove in quella ragione geometricamente rappresentata dal quadretto,
si inscrive l’elemento surrealista, lo stesso di Rem Koolhaas e di tanta
neoavanguardia, un surrealismo che gioca con lo spaesamento, con il
cambiamento di scala e, nel caso di Superstudio, con la tecnica del
fotomontaggio.
Il fotomontaggio consiste nell’unione di paesaggi di partenza – la
Mecca, i deserti, i canyon, Coketown, tutto fotografato da libri e poi
ristampato – e fotografie prese da riviste come LIFE, Time o Epoca. La
dimensione del contrasto tra ragione/geometria e sentimento/surrealismo,
si amplifica se pensiamo al contesto in cui questa forma di
architettura – non a caso definita “radicale” – prende forma. Da una
parte la tensione scientifica, un rigore e una formalizzazione classica
del monumento, dall’altra la totale trasformazione di esso, la
compenetrazione con la realtà umana del tempo: operai che lasciano la
fabbrica, famiglie borghesi ormai adagiate su divani e intente a
destreggiarsi tra frigoriferi e l’ormai acquisita forma di consumismo
assoluto post-Boom, ragazze bellissime distese tra morbide pareti rosa
in quello che si presenta, come in molti casi, come un oggetto di design
reale e realizzato…
Questa doppiezza ha ancora più forza in un altro straordinario lavoro
del gruppo: gli Atti Fondamentali. Litografie che rappresentano, quasi
dividendo in atti teatrali l’esistenza: Vita, Educazione, Cerimonia,
Amore e Morte.
L’Amore, ad esempio, viene rappresentato attraverso le immagini di
coppie bellissime, nude, su un prato sotto un albero come Adamo ed Eva o
su una spiaggia, come prefigurandosi un’immagine pop e quasi
baglioniana dell’amore. I corpi, però, sono messi in movimento da una
macchina, la macchina innamoratrice, quasi a essere definiti, con il
loro calore, come la rappresentazione monumentale dell’atto dell’Amore
mentre la macchina ne è il motore tecnologizzato.
Se alcuni degli oggetti di design originariamente progettati da
Superstudio si sono trasformati da progetto in oggetti fisici grazie
all’appoggio e alla volontà di Poltronova (tra i molti sostenitori
nazionali e internazionali del gruppo), molti collage, secondo Natalini,
sono stati riutilizzati e alcuni di essi sono stati trasformati,
appunto, in litografie. Alcune di esse, realizzate in occasione della
mostra Sottsass e Superstudio che nel 1973 girò in sette musei degli
Stati Uniti, rimasero invendute e, una volta cedute a un amico di
Natalini, compagno della comune in cui nel frattempo viveva, Cascina,
finirono come ornamento da sala in ristoranti e bar della costa toscana
dove forse, con un po’ di fortuna, potrebbero trovarsi ancora oggi.
In una prospettiva ancora più ampia, la vita dell’uomo che incontra una
nuova concezione radicale di architettura, non riguarda solo la presenza
umana sulla terra ma pure la conquista della Luna. Prendendo le
distanze da una concezione strettamente politica per cui l’allunaggio
rappresenta la conquista di un territorio altro, ancora vergine e
lontano da logiche capitalistiche di merci e sistema, Cristiano Toraldo
di Francia, Natalini e il gruppo, definiscono i tratti di
un’architettura interplanetaria, cioè d’aiuto all’astronauta sulla Luna:
un’architettura di protezione che include navicelle e vestiti speciali.
La storia di Superstudio, in definitiva, ci dice lo stesso Cristiano
Toraldo di Francia, è una storia di liquefazione e stravolgimento
dell’idea di cucina dove cucinare/mangiare e letto dove dormire, una
concezione ancora anni cinquanta (ma protratta nei sessanta) legata ai
precisi e rigidi connotati di ogni livello architettonico. Era proprio
di questa liquefazione che aveva forse parlato la natura, ai tempi
dell’alluvione del ’66.
Infine non va tralasciato l’elemento utopistico di Superstudio, poco
codificato dai suoi fondatori, ma così percepibile tanto da una
contestualizzazione accurata, quanto dallo studio della filosofia del
gruppo e dal semplice primo incontro con queste opere in una notte in
cui cucina e camera da letto hanno, ben oltre il 2000, ormai stravolto
le loro funzioni senza possibilità di recupero, e in cui unicorni Tumblr
si mescolano facilmente all’ippogrifo citato dallo stesso Cristiano
Toraldo di Francia in uno dei suoi primi progetti giovanili:
quell’ippogrifo, grande e strano augello, che ne L’Orlando furioso
porterà Astolfo sulla Luna, forse coperto da una struttura
architettonica interplanetaria alla volta del proprio senno, senza
perdere mai gli umani sogni e surrealismi.