Recensioni / Beppe Viola, l'uomo che sgasava. Torna in libreria "Vite vere compresa la mia"

Svariava, sconfinava, sgasava. Sui tedeschi, per esempio: “Ce n’era uno appassionato di ciclismo col quale ho chiacchierato del Giro d’Italia. Mi ha detto che dalle loro parti la bicicletta non è stata ancora inventata e quando torna su pensa di poter fare un sacco di soldi brevettando quell’idea del pedale legato alle ruote. Ha voluto sapere della moltiplica e del sellino anatomico perché pare che loro non siano fatti esattamente come noi, ma abbiano qualcosa di diverso proprio dalle parti del sellino. A me non interessava tanto questo argomento perché tra l’altro avrei anche fatto la figura del finocchio e, sai bene, coi tempi che corrono quanto sia difficile sganciarti da quel giro. Gli ho fornito tutti gli indirizzi utili, da Anquetil a Dezan perché potrebbe mettere insieme un baraccone tipo Tour e venirne fuori bene”.

Beppe Viola: 34 anni dopo, rinasce “Vite vere compresa la mia” (Quodlibet, 288 pagine, 17 euro), in versione maggiorata grazie ad altri sette testi pubblicati da “Linus”, più un’introduzione di Stefano Bartezzaghi e una nota di Gino Cervi. Stessa copertina (di Altan), stessa prefazione (di Enzo Jannacci), stesso surrealismo e umorismo, stessa libertà ma anche stesse regole, ferree, prima fra tutte quella di non annoiare, tediare, intristire i lettori, e seconda, alla larga dai luoghi comuni, dalle frasi fatte, dagli attacchi loffi, dai finali scontati. E invece denunciare, ma con eleganza, lamentarsi, ma con ironia, e scherzare, ma con serietà. Svariando, sconfinando, sgasando.

“Vite vere compresa la mia”, nonostante i 34 anni, non invecchia, anzi, ha il dono di rigenerarsi, è ancora all’avanguardia, e continua a stupire, sorprendere, calamitare. “Quando vengono al mondo i bambini ricchi parlano già quattro lingue, sono abbronzati e hanno le mèches”. “Mia madre era una donna eccezionale. Lo capii una mattina quando venne a svegliarmi dicendo: ‘Fuori c’è una neve mai vista, fa un freddo cane. Fossi in te non andrei a scuola oggi. Meglio un asino vivo che un professore morto’. L’asino è vivo e vegeto, modestamente”. “Per fortuna c’è qualcuno che mi vuol bene. Purtroppo non si tratta né di Faye Dunaway, né di Gianni Agnelli”. “I giardinetti di viale Argonne servono a tenere insieme la nebbia fino all’alba e anche più in là”. “Ditemi se non è il caso di prendere tutti quelli che fanno gli spiritosi sui 90 minuti domenicali e mandarli in Siberia a vendere gelati”. “Ho trovato un macellaio che è la fine del mondo. Pensa che ammazza i vitelli a baci e carezze perché la carne sia più tenera”.

Giornalista sportivo, Viola era molto di più e molto d’altro, anche se sua madre sosteneva che fosse “buono a nulla, capace di tutto”. Capace di saltare da un cross a una volata, da Ugo Tognazzi a Cochi e Renato, da Moser a Borg. Trovava il tempo per scrivere e giocare, per una moglie e quattro figlie, per la Rai e un’agenzia modestamente ribattezzata marchettificio, per vagare sui Navigli e sfogarsi su un panettone, per stabilire il nuovo record mondiale di colesterolo o quello personale sui due centimetri. Era un seigiornista, quando le seigiorni duravano sei giorni e sei notti, ma il settimo giorno e la settima notte continuava a pedalare, a piedi o in macchina, sulla tastiera o in tribuna, a San Siro o in corso Sempione. Fuori dagli schemi, tra bianchini e boeri, tra clanda e rebongista, tra fresca e rebonza (c’è anche un utile glossarietto, per chi non conosce i termini).
Beppe Viola è morto addirittura 33 anni fa. Ma la sua vita vera va avanti. E svaria, sconfina, sgasa.

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