Nessuno può fare satira senza partire da lui. Eppure allora fu persino
osteggiato e lui, in un mondo di Gianfilippi e Pierfranceschi, non
poteva che chiamarsi Beppe, all'anagrafe Giuseppe, il titolo di quel
libro che resta oggetto fondamentale per chi opera nella satira e
nell'umorismo, non poteva che essere Vite vere, compresa la mia. Perché
Beppe Viola, uno dei tanti figliastri di Oreste del Buono, aveva tutto
taroccato, trigliceridi, colesterolo, stazza fisica, ma quella che
raccontava era una vita di sguardi e fotografie di una Milano che non
c'è più, stretta tra corso Sempione, sede della Rai, dove lavorava, in via Lomellina, in arte via Lomella,
dove era nato, fino al Derby Club (viale Monte Rosa) e San Siro, inteso
come stadio e come ippodromo.
Come hanno scritto Gino e Michele, non poteva nascere diversamente da
Beppe Viola, possibilmente tutto attaccato, perché di Beppe ce ne sono
sempre meno, mai Viola restano abbondanti.
LA CASA editrice Quodlibetha deciso di ristampare il libro che uscì
nel 1981, ma che sembra scritto ieri, per colpa del linguaggio, non solo
per ciò che racconta. Uno dei mali di Viola era quello di essere troppo
avanti, per questo alla Rai non fece una grande carriera, nonostante la
tv ancora oggi si abbeveri di cose sue, come le canzoni sulle immagini
(invenzione sua), i replay e rallenti.
Morì presto, e redattore ordinario, perché Viola era fuori dagli schemi.
Non era controllabile, in una Rai dove ancora l'ufficio censura
lavorava sodo. Tito Stagno, all'epoca suo direttore, lo scaricò spesso
coi direttori accade quando mandò in onda le immagini di un derby
Milan-Inter dell'anno prima, perché quello "di oggi è stato così brutto
che ve lo risparmiamo".
No, non poteva in quella Rai ingessata di fine Anni Settanta godere
dell'ammirazione dei suoi superiori, nonostante oggi la Domenica
sportiva tenti di assomigliare a lui, al Beppe, ma senza riuscirci, con
battute, comici, PaolaFerrari. Il calcio, in quegli anni, e la tv
pubblica, soprattutto, erano santuari inviolabili, poco avvezzi
all'ingegnosità dei singoli.
POTREMMO andare avanti per ore, ma vi toglieremmo il gusto di leggerlo,
il libro, non importa dove: è una lezione di scrittura e di quel non
prendersi mai sul serio che dovrebbe essere distribuito nelle scuole. Ci
sono passaggi memorabili, come la lettera al direttore, ormai
mitologica, o quella invece dedicata ai ladri che gli fecero sparire
l'Innocenti, dove Viola si scusa per il
disordine trovato, chiede i gusti, nel caso si decidesse a comprarne
un'altra. O il racconto di lui, Enzo Jannacci, amico d'infanzia, e Cochi
e Renato. A proposito di Jannacci: troverete una sua introduzione, ma
non è facile leggere Jannacci. Matto lo era. Un altro genio, ma
completamente fuori dagli schemi. Buona lettura, sempre che di questi
tempi ormai drammatici, qualcuno abbia voglia di sorridere con intelligenza. Siamo convinti che sì, ce ne sia bisogno.