Il 29 giugno 1976 Monte Morello si popolò di un insolito gruppo di
persone: designer e ricercatori di architetture nuove, dotati di oggetti
e impegnati in un complesso programma di seminari e performance. Erano convocati da Cavart, un movimento d'avanguardia che
voleva utilizzare i luoghi delle cave, spesso dimenticati e abbandonati.
Il gruppo, che letteralmente prendeva il proprio nome dai luoghi in cui
agiva, era coordinato da Michele De Lucchi, poi architetto e designer
di fama, con Piero Brombin, Paola Bortolami, Valerio Tridenti e Boris
Premru.
L'anno prima si era prodotto a Monselice nella costruzione di un
agglomerato urbano destinato a durare un giorno, e sulle colline sopra
Firenze le manifestazioni proseguirono l'anno seguente. Scopo
dell'impresa era anche qui creare una città effimera in 24 ore, seguendo
la scia dei movimenti nati a Firenze, Superstudio e Archizoom, centrali
nelle vicende dell'architettura radicale e oggi tornati all'attenzione
(come dimostrano le mostre sul Superstudio al Pecci nel 2012 e ora alla
GAM di Milano). Come De Lucchi racconta nella sua memoria per immagini I
miei orribili e meravigliosi clienti (Quodlibet), gli strumenti di
questa impresa erano, una portantina, come cellula abitativa minima,
trampoli attrezzati, insieme a: «Tappeti volanti, botti, aquiloni e
lenzuola».