Nel 1545 mentre si aprono i lavori del Concilio di Trento, termina la
stesura di un libro che legittima la guerra speciale per la conquista
del Nuovo Mondo. La pubblicazione è però ritardata dai domenicani. Il suo autore, Juan Ginés de Sepulveda, aveva studiato
anche a Bologna seguendo gli insegnamenti di Pomponazzi; dal 1536 era
diventato storiografo di Carlo V, ma anche cappellano reale. Con Erasmo
da Rotterdam aveva avuto scambi di consensi e di critiche. Nel
dimaumanistico di quell'epoca ha un suo peso, tanto che il cardinal
Gaetano lo incaricò tra il1527 e il 1529 dirivedere il testo del Nuovo
Testamento.
Quel libro che dicevamo e che l'Università di Salamancanel 1547 ha l'incarico divagliare, si intitola Democrates alter. Oggi si dovrebbe subito precisare che contiene idee politicamente scorrette. Si possono riassumere così: erano legittime le guerre contro
gli indigeni americani e lecito era catturarli come schiavi, data la
loro natura inferiore. Non entreremo nei dettagli e nelle questioni
sollevate dall'opera, che fu tradotta da Quodlibet nel 2009, aggiungiamo
soltanto che ora esce il primo Democrates di Juan Ginés de
Sepulveda, libro che vide la luce a Roma nel 1535. Ovvero nell'anno in
cui Carlo V strappò all'Impero Ottomano la città di Tunisi e giunse a
Roma cercando di convincere papa Paolo III, al secolo Alessandro Famese,
da poco eletto, a convocare un concilio.
Questo primo trattato si presenta con un titolo lungo, accattivante ed
esplicativo, Democrate. Dialogo sull'accordo tra la professione delle
armi e la fede cristiana.
Pone questioni come la seguente: è possibile intraprendere una guerra
tenendo conto dei precetti evangelici? Respingendo gli ideali pacifisti
di Erasmo, criticando Machiavelli che imputava al cristianesimo un infiacchimento degli animi e non poche colpe per la
decadenza politica e militare, Sepulveda diventa il teorico della guerra
umanitaria, un concetto che fu molto gradito al colonialismo europeo
dell'epoca e dei secoli successivi. Ora Quodlibet propone la traduzione
con il testo latino a fronte, a cura di Vincenzo Lavenia, anche di
questo primo Democrate.
Va ricordato che Erasmo nella Querela pacis e negli Adagia aveva
preso le distanze dal «Dio degli eserciti», quello caro all'Antico
Testamento, a taluni pontefici nonché a numerosi interpreti che
legittimavano l'uso delle armi, e scrisse parole chiare (riportate da
Lavenia nella sua introduzione): «Un dottore davvero cristiano non
approva mai la guerra; forse in qualche caso la permette, ma
controvoglia e con dolore». Machiavelli, al contrario, più suadente del
sommo umanista, attento nell'anteporre la forza alla giustizia, anzi
vedendo la seconda dipendere dalla prima, credeva la guerra una realtà
inevitabile (per Hegel sarà anche utile) e nei Discorsi attaccava senza mezzi termini il cristianesimo contrapponendovi gli ideali pagani: «La religione antica non beatificava se non uomini pieni di mondana gloria, come erano
capitani e principi di repubbliche. La nostra religione ha glorificato
gli uomini più umili e contemplativi che gli attivi». Parole scritte in
un mondo in cui la Chiesa non scarseggiava di guerrafondai, papi
inclusi.
Sepulveda nel suo primo Democrate entra in questo ideale dibattito e fa
proferire ad Alfonso la risposta al quesito se la professione delle armi
contrasti con la dottrina cristiana: «Anch'io in passato mi sono
lasciato irretire da quella tesi; non perché ritenga che ai cristiani la
fede proibisca di fare guerra (spesso mi pare che vi siano cause assai
giuste, anzi necessarie, per intraprenderla), ma perché accadono molte
cose nella vita per le quali a un uomo di valore è necessario perdere la
buona fama (di cui deve avere massima cura) oppure mettere da parte i
precetti della religione».
Più avanti Sepulveda affronta il problema discettando del «giusto per
natura»; riflette sul giudizio di chi deve stabilire cosa sia bene e
male. Giunge tral'altro a ricordare che la guerra «secondo il diritto di natura» è fatta anche dalle bestie. Affrontando il tema Per quali cause si debba muovere guerra
ricorda: «Non si dovrà affatto pensare che sia contro la religione o
turpe rivendicare i propri beni sottratti o punire i malvagi. Né ci si
dovrò vergognare di imitare Abramo, uomo giusto e chiamato amico di Dio.
Egli molti secoli prima che fossero dettate le leggi degli ebrei,
seguendo il diritto di natura mosse guerra contro quattro re che
esultavano per la vittoria e li mise in fuga».
Il resto viene da sé. E tale dibattito torna ad avere una certa attualità.