Recensioni / Beppe Viola, che nostalgia

«Erano quasi le tre, si perdeva di già e non ci hanno dato un rigore». Scanzonata come ogni canzone di Cochi & Renato, "Cesarini". Scanzonata come quella Milano lì che si allungava tra il bar Yamaica, di via Moscova, il Derby e la pasticceria Gattullo, il luogo dove Beppe Viola inventò l'ufficio facce, dove scommetteva se l'avventore del locale fosse milanista o interista. In una Milano che non era ancora da bere (fortunamente) ma in cui si beveva: bianchivi e Campari, cui anche il Beppe Viola non si sottraeva. Una Milano che quella generazione lì quella del Derby, dei ragazzi di piazza Adigrat come Jannacci e Viola – è riuscita a raccontare così bene da rendere nostalgici anche chi non ci ha mai vissuto o l'ha soltanto conosciuta, seguendo un particolarissimo filo rosso che si dipana da Bianciardi per arrivare appunto a Viola. E che comunque ha tra i riferimenti culturali il Linus di Oreste Del Buono. Quodlibet, casa editrice marchigiana, ha deciso così di (ri)pubblicare "Vite vere, compresa la mia"; gli scritti di Beppe Viola – che di professione faceva il giornalista sportivo in Rai, orgogliosamente redattore ordinario – apparsi sulla rivista di Odb dal 1977 al 1982. C'è tutto il mondo del Pepinoeu, come lo ribattezzò Brera nell'articolo che gli scrisse per salutarlo definitivamente. Ci sono pezzi spassosi e ormai celebri come "Lettera al direttore". «Ho quarant'anni , quattro figlie e la sensazione di essere preso per il culo. Non ho mai rubato né pianoforti né sulle note spese. Non ho attentato alle virtù delle numerose signore e signorine che circolano al terzo piano. Vado a Londra, a spese mie, per imparare l'inglese. L'hanno fatto Marx e Mazzini, posso permettermelo anch`io». E fulminanti come il pezzo iniziale «Mio padre giocava ai cavalli, mio nonno a scopa». Il libro rispetto all'edizione originaria esce arricchito da un`introduzione di Stefano Bartezzaghi che precede la prefazione storica di Enzo Jannacci e che parla di come Viola sia stato capace di inventare il milanesco e di crearsi un suo stile, inimitabile, fedele solo a se stesso, tanto da dimostrare una coerenza anarchica.

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