Recensioni / Un libro partigiano

Non è facile trovare un libro di architettura ben scritto, avvincente e utile. Questo di Carlo Melograni, appena uscito e intitolato Architetture nell’Italia della Ricostruzione. Modernità versus modernizzazione 1945-1960 (Quodlibet) ha tutti questi pregi e anche altri. “Non è un libro di storia”, avverte l’autore nella sua introduzione, piuttosto è la testimonianza di un protagonista che ha attraversato dal proprio punto di vista culturale e politico quel periodo, alla ricerca delle ragioni dell’architettura quando tutto è stato distrutto e bisogna ritrovare un modo per ricominciare. La generazione di Melograni e quella che lo ha immediatamente preceduto, però, non ripartono da zero, perché sono convinte di poter riprendere alcuni fili della modernità che si sono interrotti ancor prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, e ragionano sulla parola “continuità”.

Quella col moderno, però, è una “continuità intermittente”, perché deve fare i conti con la storia e lo sviluppo industriale, e perché è diversamente declinata da personalità che hanno obiettivi e metodologie in molti casi divergenti. Ma proprio mettendo allo scoperto questi contrasti, l’autore fa ben comprendere la complessa vicenda vissuta da quegli architetti che hanno fortemente sentito l’obbligo della responsabilità nell’affrontare i problemi delle trasformazioni della città e del territorio.

Nel ripercorrere l’acceso dibattito riportato nelle riviste dell’epoca e nell’esegesi di alcune opere scelte come le migliori prodotte dalla cultura architettonica italiana, Melograni mette poi in evidenza la questione chiave: l’eclissi ‒ prima politica e poi disciplinare ‒ dell’urbanistica che ha lasciato l’architettura sola di fronte al difficile compito di costruire “un mondo migliore”. Perché è questo, sostiene, l’obiettivo da raggiungere, e capire ciò che “lega disegno industriale, progetto architettonico e progetto urbano” resta, a suo avviso, il metodo più valido per perseguirlo.

È una ragione profonda da ritrovare anche oggi, come è stato nell’immediato dopoguerra.