Recensioni / Giorgio Agamben (2015): Gusto. Macerata: Quodlibet.

Notoriamente Giorgio Agamben si è imposto come una delle più importanti figure sulla scena filosofica e storico-culturale contemporanea attraverso il progetto Homo sacer – ormai giunto, a quanto pare, al capolinea con il volume L'uso dei corpi (Vicenza: Neri Pozza 2014). Sono, però, forse in meno a sapere che la prima produzione del filosofo romano, pur non assestandosi su un approccio unilateralmente disciplinare, ha offerto dei contributi consistenti (alcuni dei quali, purtroppo, frettolosamente archiviati) proprio su questioni disciplinari, in particolare di taglio estetico, di filosofia dell'arte e di teoria letteraria.

Più recentemente, attraverso meritorie scelte editoriali (in particolare di Quodlibet, uno degli storici editori di Agamben) e oculate politiche di gestione dell'immagine del filosofo romano, sono stati ripubblicati molti testi risalenti alla prima produzione agambeniana, quali L'uomo senza contenuto (1970; 2002 n.ed.) o Categorie italiane (1996; 2010 n.ed.). All'interno di tale panorama editoriale, proprio Quodlibet ha deciso di ripubblicare, sotto forma di volume, la voce Gusto, che Agamben scrisse per il sesto volume dell'Enciclopedia Einaudi nel 1979. Non voglio dilungarmi, in questa sede, sull'importanza che le voci enciclopediche dell'editore Einaudi hanno rivestito in ambito estetico e storico-letterario, bensì solamente accennare al fatto che in esse sono reperibili i nuclei di riflessione di alcune indagini che hanno segnato gli orizzonti speculativi dell'epoca in cui viviamo – caso paradigmatico è lo studio I paradossi dell'esperienza (1982) di Emilio Garroni, che getterà le basi per il suo successivo Senso e paradosso. L'estetica, filosofia non speciale (1986).

Torniamo, però, ad Agamben e al suo Gusto. Il libro è diviso in cinque parti ("Scienza e piacere", "Verità e bellezza", "Un sapere che gode e un piacere che conosce", "La conoscenza eccedente", "Al di là del soggetto del sapere"), ciascuna di esse legata alle modalità con le quali il pensiero filosofico ha riflettuto sul gusto inteso come un "altro sapere" (11). Tale "altro sapere" è un conoscere che non può dedursi; che non può, cioè, mostrare le regole che ne determinano la natura, in quanto è slegato da scopi determinati. Evidente, qui, l'influsso che la Kritik der Urteilskraft (1750) ha esercitato sul pensiero agambeniano, lettura che svolge anche in un'altra opera giovanile, L'uomo senza contenuto, e in Signatura rerum (2008) una funzione primaria. Ora, per Agamben l'alterità del sapere perimetrato dal gusto presiede ad una frattura, quella tra verità e bellezza: "solo perché verità e bellezza sono originariamente scisse, solo perché il pensiero non può possedere integralmente il proprio oggetto, esso deve diventare amore della sapienza, cioè filosofia." (13) Non è, però, solo un altro sapere, quello che la filosofia si trova a ricercare, risalendo la sfaldatura tra verità e bellezza. Attraverso un'interessante lettura della teoria platonica dell'amore, Agamben sostiene che l'altro sapere è, al contempo, un "altro piacere" (20), che non è possibile appiattire sul piano empirico.Secondo Agamben, l'alterità di tale piacere ha incontrato storicamente nel non so che un interlocutore fondamentale. Come è noto (D'Angelo / Velotti 1997: 9–74) e come ricorda correttamente Agamben (non dimentichiamo che la voce enciclopedica Gusto esce per la prima volta nel 1979, a pochi anni da uno dei primi e pionieristici studi sul je ne sais quoi, quello omonimo di Erich Köhler apparso nel 1976 nell'Historisches Wörterbuch der Philosophie curato da Joachim Ritter), il non so che ha presieduto alla saldatura tra gusto e bellezza, poiché ha circoscritto lo spazio di un'eccedenza (estetica), che nella valutazione di oggetti non volti a scopi determinati è ricorsiva, inaggirabile e resistente: "la teoria del non so che, che, già a partire dalla seconda metà del secolo XVII, domina il dibattito sul bello, costituisce, da questo punto di vista, il punto di convergenza della dottrina del bello e di quella del gusto." (28)

L'eccedenza della bellezza sulla verità, e viceversa, si palesa al gusto per il tramite della rappresentazione, dunque sempre a partire da una mancata "adeguazione del significante e del significato" (48). All'interno di un tortuoso percorso che, dalle teorie e le scienze divinatorie si prolunga nella moderna economia politica, Agamben mostra, per grandi linee, come l'estetica e l'economia politica hanno assunto a proprio oggetto esattamente il piacere che si trova a cavallo tra il non-sapere (l'"altro sapere") ed il non-godere (l'"altro piacere"), e che è la fonte inesauribile del gusto. Da questa prospettiva, la psicanalisi per Agamben è la scienza che "si situa al limite fra estetica ed economia politica, fra il sapere che non si sa e il piacere che non si gode, e tende a congiungerli in un progetto unitario" (53).

Questa tesi, tanto suggestiva quanto problematica, è a nostro avviso il nucleo incandescente del volume agambeniano. Benché semplicemente abbozzata, l'idea sembra ulteriormente sorretta dal proposito di concepire una "estetica guidata dal punto di vista economico" (ibid.) – il riferimento, qui, è alla "ökonomisch gerichtete Ästhetik", menzionata da Freud nel secondo capitolo di Jenseits des Lustprinzips (1920). Si tratta, salvo approfondimenti futuri dello stesso Agamben, di una questione largamente ancora ignorata da un punto di vista squisitamente disciplinare. Già Croce – al quale la cultura italiana sembra lentamente riavvicinarsi – dedicò un saggio importantissimo al rapporto tra estetica ed economia, Le due scienze nuove, l'estetica e l'economia (apparso negli Ultimi saggi del 1935), ripercorrendo in parallelo le origini dell'estetica e dell'economia in quanto discipline moderne. Alla luce di questo legame sottilissimo (e da molti facilmente contestabile) tra Croce e Agamben, il volume Gusto non può che confermare una delle tendenze fondamentali del pensiero estetico italiano, ovverosia quella votata all'esplorazione delle origini storico-teoriche della disciplina.

In un momento storico, quello attuale, nel quale l'interrogazione sulle condizioni di possibilità degli approcci scientifici viene (talvolta ingiustamente) scambiata per specialismo degenere, così da legittimare nuovi sistemi di sapere non ancora dotati di un paradigma di riferimento, Gusto, assieme a tutta la (prima) produzione agambeniana, riporta alla luce la radice forse più genuina di ogni pensiero critico.


Bibliografia

D'Angelo, Paolo / Velotti, Stefano (1997): Il "non so che”. Storia di una idea estetica. Palermo: Aesthetica.