Recensioni / Scattare fotografie per dare la caccia al tempo presente

Rallentare. Se fuori è tutto un selfie – uno scattare senza pensare, un'inflazione di immagini digitali che riempiono tablet e altri device – dentro, nella Sala nel del Macro, la fotografia diventa spazio di meditazione. La quattordicesima edizione del Festival Internazionale di Roma a cura di Marco Delogu ( fino al 17 gennaio 2016; catalogo Quodlibet ) sembra andare verso questa direzione: sgombrare il campo, spegnere il rumore dei clic, guardare e tornare a pensare. Il titolo - Il Presente, non quello di fuori, ma quello di dentro - è un invito a riappropriarsi del tempo. Magari prendendo le distanze da quello che si vede. Accade sin da subito con le due grandi installazioni fotografiche di Olivo Barbieri, nel primo ambiente espositivo. Qui Roma è rappresentata da plastici ripresi dall'alto, che restituiscono una città svuotata dal traffico, dal degrado, dalle mafie capitali. Dialogano perfettamente con questa idea gli scatti di Giovanna Silva che riproducono paesaggi di un Medio Oriente, solitamente rappresentato in guerra, senza esseri umani, senza apparenti conflitti. Come le foto di Italia di Federico Clavarino, si tratta di composizioni quasi metafisiche con poche tracce, pochi indizi di vita. Restituiscono un presente apparentemente fuori dal tempo. Che è lo stesso poi che Domingo Milella ferma al Cairo, in Turchia o a Polignano a Mare.

Se si può rintracciare un altro filo rosso in questa edizione del Festival Fotografia è il confronto con l'origine, con l'heimat, l'idea di casa e di luogo natale. Per Nicolò Degiorgis sono le Dolomiti fotografate in bianco e nero, in condizioni e luci diverse. Per Francesco Neri sono i contadini e le loro mogli della serie Farmers: ritratti essenziali di persone semplici, che riproducono gesti e posture uguali nel tempo. Per Giorgio Falco e Sabrina Ragucci sono i fantasmi dei compleanni passati: indizi di una memoria in progress che piacerebbero a Christian Boltanski.

Paolo Ventura in Homage à Saul Steinberg propone una sequenza in cui si ritrae con il figlio  – alter ego di lui bambino – e si rimpicciolisce fino a diventare figlio di suo figlio. Paolo Pellegrin (per il progetto Rome Commission) l'heimat di Roma lo insegue fuori dalle mura: raccontando la famiglia rom di nonna Sevla e incrociandone le diverse generazioni. Rinnovano invece una idea di Grand Tour le fotografie del tedesco Hans-Christian Schink, a caccia di un'archeologia romana tra Eur e Parco degli acquedotti.

Il Presente è anche il tramonto del primato occidentale raccontato da Francesco Jodice, o quello che il britannico Paul Graham ferma per le strade di New York, scattando più fotografie a distanza di pochi secondi. Per dimostrare che la fotografia non ferma soltanto un attimo, ma è anche il tentativo frustrato di intromettersi dentro un flusso di tempo indomabile.