Recensioni / Il desiderio di urbanità della città contemporanea. Il caso la Défense

Il testo di Sabina Lenoci affronta un insieme di questioni oggi al centro del progetto urbanistico per la città contemporanea, quali il rapporto tra caratteri dello spazio urbano e forme della socialità, della convivenza, la densità di relazioni e le strategie di difesa di beni comuni.

Una varietà di temi che tendono sempre più a porsi come una nuova questione urbana e che l’autrice riconduce alla diffusione di un nuovo “desiderio di urbanità” che attraversa oggi i nostri contesti urbani.

In questo fenomeno, che può essere descritto come un particolare impulso o stato di affezione che gli abitanti rivolgono allo spazio urbano, entra in gioco una rinnovata volontà, da parte degli abitanti, di dispiego di pratiche abitative capaci di appropriarsi di uno spazio urbano e ridefinire in senso più serrato le forme di interazione sociale. Un desiderio segnato dalla dimensione del possesso e che si manifesta in zone circoscrivibili a una scala e geografia definita.

Il “desiderio di urbanità”, sostiene l’autrice, può essere considerato un fenomeno ciclico che si rende più evidente a ridosso di momenti di passaggio e di trasformazione della vita nelle città e che per questo è importante indagare. Diversamente da precedenti manifestazioni di questo fenomeno durante il Novecento, in cui, per esempio, la pulsione verso una condizione urbana era legata in buona parte a una volontà di riscatto sociale da parte dei nuovi abitanti, oggi quello che si manifesta è un desiderio segnato prevalentemente dal tentativo di ridefinizione delle forme e pratiche dell’abitare alla scala di prossimità. Per questa ragione il concetto di urbanità è qui inteso innanzitutto come ricerca di caratteri di abitabilità, densità relazionale e comfort. Un fenomeno ancora poco indagato e che può dar esito a risposte di tipo nostalgico come, per esempio, a tentativi di ripristino di urbanità perdute o piuttosto all’invenzione di nuovi luoghi e dispositivi di socialità o condivisione.

L’ipotesi di fondo che sostiene questa ricerca è che per rispondere in maniera adeguata alle domande che il “desiderio di urbanità” pone occorra innanzitutto partire “dalla descrizione come tecnica specifica del progetto urbanistico per verificare non tanto la fertilità di un paradigma disciplinare ma per procedere in modo cumulativo, ed entro un percorso di ricerca che sembra ancora proficuo, per tentare di dare adeguata risposta all’attuale domanda di urbanità”. Il riferimento principale è al patrimonio di esperienze e tecniche descrittive dello spazio urbano sperimentate a partire dagli anni Novanta per descrivere i nuovi caratteri che la città europea iniziava a manifestare in quegli anni. Un insieme di tecniche considerate in grado di evidenziare i caratteri di una domanda di urbanità che risulta altrimenti difficilmente rappresentabile se non come una varietà di questioni quasi sempre disarticolate fra loro.

Questa ipotesi operativa che mira a ridefinire i caratteri dell’urbanità a partire dall’utilizzo di tecniche descrittive, è stata messa alla prova attraverso la costruzione di un progetto di riqualificazione urbana, in un contesto urbano “estremo”, il quartiere de la Défense di Parigi. Uno dei luoghi che, nell’immaginario collettivo non solo parigino, è tra quelli che sembrano meno in grado di esprimere condizioni di urbanità e di abitabilità soddisfacenti.

La Défense è il più grande quartiere finanziario europeo concepito, alla fine degli anni Cinquanta, come modello alternativo allo spazio della Lower Manhattan e come centro di affari antagonista alla City di Londra. Si tratta di un quartiere manifesto dell’idea modernista di separazione tra funzioni e flussi, concepito, dal punto di vista spaziale, come una gigantesca “millefoglie” che si dispone su numerosi livelli a cui corrispondono funzioni differenti.

Il fenomeno Défense, sostiene Jean-Louis Cohen in un’intervista riportata nel testo, è estremamente complesso, si tratta di un’entità “frammentata, che non è altro che una fiction urbana”, che è possibile indagare a varie scale. “Città con il suolo artificiale”, “città funzionale”, la Défense è una città costruita su un sistema di lastre, les dalles, soluzione insediativa che rimanda ad alcune proposte progettuali come quelle di Alison e Peter Smithson nel concorso di Haupstadt Berlin del 1958 o al piano del 1955 per Fort Worth in Texas di Victor Gruen. Alla Défense si può cogliere un’idea di futuro degli anni Cinquanta.

In questo luogo, forme d’indagine dal basso (rilievi, campagne fotografiche, descrizioni letterarie, indagini qualitative), si sono integrate con indagini “in presa diretta”, quali performances site specific e l’uso di fiction come strumento di narrazione e decostruzione dello spazio, innescando in tal modo un cortocircuito con il carattere fittizio che, secondo Cohen, la Défense possiede. Obiettivo di questa interazione diretta sul luogo e con gli abitanti a mezzo di indagini ed eventi è stato mettere in discussione l’immagine consolidata di “noioso quartiere degli affari”, evidenziandone potenzialità implicite e rendendo visibili una serie di pratiche ibride d’uso dello spazio del quartiere non connesse esclusivamente a funzioni terziarie.

Accanto a queste si sono individuati diversi itinerari di attraversamento dello spazio che in molti casi percolano attraverso la sequenza della “millefoglie”. In molti casi si tratta di spazi di scarto tra luoghi destinati a funzioni terziarie e quelli delle infrastrutture di trasporto.

Queste situazioni, in cui le pratiche d’uso dello spazio e le forme di attraversamento risultano a volte “accelerate”, altre volte “rallentate”, sono state nominate “terzo spazio”, concetto che richiama il terzo paesaggio di Gilles Clément, in quanto si configurano come spazi distinti sia da quelli monumentali sia da quelli infrastrutturali. A partire dal riconoscimento delle potenzialità del “terzo spazio” nel ridefinire i caratteri di urbanità della Défense, il progetto non ha introdotto nuovi programmi, ma ha concepito una serie di un operazioni “tese a seguire le trame delle modificazioni già in atto, nella convinzione che in questi casi, almeno inizialmente, il progetto debba tendere a svelare più che a sovrapporsi alle pratiche in essere.” Una strategia progettuale in cui un ruolo importante è stato affidato alle tecniche del progetto ambientale, incaricato di ridefinire le relazioni ecologiche, atmosferiche e sociali tra i diversi piani della “millefoglie”.

Riflessioni sul “terzo spazio”, indagini sui caratteri dell’urbanità, sperimentazione di forme di descrizione urbana e definizione di strategie progettuali, fanno parte di un discorso sulla Défense che l’autrice articola nel testo in quattro parti.

Nella prima parte, intitolata La descrizione al centro delle pratiche dell’urbanistica, si presentano le modalità della ricerca, istituendo un nesso tra la tradizione delle forme della descrizione urbana degli ultimi anni e la questione della domanda di urbanità. La seconda parte, Descrivere la Défense, restituisce l’insieme di strumenti utilizzati e la descrizione, attraverso mappe e transetti urbani, dei principali luoghi di ibridazione delle pratiche d’uso dello spazio. La terza parte, Le interviste, presenta una serie di resoconti di scambi avuti con importanti studiosi che, a vario titolo, hanno riflettuto sulla Défense, come Frédéric Edelmann, Philippe Dubois, Jean-Louis Cohen, Gilles Clément e Yona Friedman. L’ultima parte, Fare spazio pubblico, contiene il progetto di riqualificazione del quartiere costruito attraverso una doppia strategia. Da un lato si è mirato a rendere evidenti, nell’immaginario collettivo, una serie di processi innovativi già in corso, dall’altro si è cercato di operare una riqualificazione del “terzo spazio” attraverso un progetto di suolo capace di operare nuove connessioni tra le differenti quote del quartiere prevedendo il riuso di edifici dismessi. L’intera riflessione è chiusa da Considerazioni per una narrazione della città contemporanea, in cui si delineano approcci innovativi verso il progetto degli spazi pubblici al di fuori di approcci estetizzanti o legati esclusivamente a questioni di sostenibilità ambientale.

La Défense prende il nome dalla statua “La Difesa di Parigi”, che venne costruita nel 1883 per commemorare i soldati che avevano difeso Parigi durante la guerra franco-prussiana. La Dèfense, sostiene Cohen, è “il doppio di Parigi, alla fine si tratta della Parigi Parallela di Claude Parent […], di una città alternativa che funziona grazie a un sistema di trasporti”. Negli anni questo “campo di concentramento per torri” ha forse davvero difeso il centro di Parigi dalla diffusione di grattacieli per uffici che avrebbero innescato una modificazione dei caratteri del paesaggio urbano della città dagli esiti imprevedibili. Da questo punto di vista la Défense è riuscita davvero a mantenere alcune delle sue promesse. Altre, relative alla configurazione di forme di urbanità che forse oggi considereremmo nostalgiche, non sono state mantenute. In tal senso lo sforzo fatto da Sabina Lenoci è stato definire strategie operative capaci di sottrarre questo monolite funzionalista al suo stato di spazio coloniale, di luogo totalmente artificiale, considerando innanzitutto la sua topografia artificiale un giacimento di spazialità e urbanità inespresse.

Questo approccio, teso all’esplorazione di vie laterali e di potenzialità latenti del progetto modernista e definito attraverso la relazione tra tecniche artistiche, urbanistiche, tecnologie ambientali, ruinophilia e libertà, richiama la “mossa del cavallo” discussa dal formalista russo Viktor Shklovsky nei suoi studi sulla relazione tra architettura e spazio letterario. Il risultato di questo sforzo è la definizione di una modalità analitica e progettuale che può essere considerata un prototipo dei modi in cui rileggere modelli urbani modernisti straniandone il loro aspetto tecnologico e funzionalista.