“Mia sorella buttava masse d’acqua fredda senza passare neppure lo straccio, e lasciava che tutta l’umidità evaporasse in maniera spontanea”
Maurizio Salabelle scrive alla fine degli anni Ottanta questo primo romanzo pubblicato solo oggi, e per fortuna, da Quodlibet nella collana «Compagnia Extra». Nel frattempo altri romanzi sono stati pubblicati di questo scrittore/insegnante che ci ha lasciati troppo presto. La lingua italiana gioisce in ogni pagina di questo testo dove è impossibile cogliere una trama vera e propria. Sono pagine piene di inchiostro che vorresti non finissero mai, una scrittura limpida colma di fantasia, episodi tragici descritti talvolta con una comicità disarmante, surreale. La storia di una famiglia compressa in una cucina, odore di fritto e minestra, cene fredde consumate oppure no, claustrofobia, un grande tavolo che diventa luogo prediletto, luogo in cui si organizzano riunioni familiari per cercare di dare spiegazioni fantastiche all’anarchia che regna fra gli orologi della casa che creano ritagli di tempo, periodi bianchi: “Fino ad ora ogni minuto è durato il doppio delle altre volte… ma adesso, alle cinque, senza che nulla ci abbia avvertito o ci abbia messo in allarme, è accaduto che la giornata si è come compressa improvvisamente”. I componenti della famiglia soffrono di malattie inesistenti, ne cercano le cause e le eventuali soluzioni, un lavoro certosino che porta a conclusioni bislacche ma talvolta plausibili: “Per due mesi trascorremmo le giornate completamente privi di cognizione…recandoci ai gabinetti sempre occupati, che riuscivamo a ritrovare solo dopo aver fatto giri su giri, incontravamo visi anonimi…ma che presumevamo essere nostri parenti…”. Salabelle non è mai stato uno scrittore “mediatico” ma, per chi ha avuto il piacere di leggere i suoi testi, rimane una presenza viva, di grande impatto emotivo. Ecco perché questo suo primo/ultimo romanzo è così prezioso.