Recensioni / Letteratura come storiografia? Mappe e figure della mutazione italiana

Fin dal titolo, l’ultimo libro di Emanuele Zinato dichiara la sua vicinanza al clima culturale della seconda metà del secolo scorso. La prima indicazione, presente nel titolo e nella citazione che apre il volume, è a Letteratura come storiografia di Hans Magnus

Enzensberger, articolo pubblicato nel luglio del 1966 sul «Menabò-Gulliver» nel quale la peculiarità della letteratura viene individuata nella sua capacità di preservare "nella penombra delle opere" le "tracce dei dimenticati", degli "uomini che sono vissuti prima di noi", al contrario della scienza – intesa come quella storiografica – che "si occupa (…) non mai di uomini". La seconda parola chiave è "mutazione", termine scientifico, utilizzato come metafora per indicare la trasformazione antropologica degli italiani durante il rapido – e, per questo, traumatico – processo di modernizzazione, avvenuto in Italia tra il 1958 e il 1963. Secondo Zinato, i fenomeni che hanno caratterizzato il boom economico non hanno segnato soltanto la generazione coeva ma essi "deflagrano come contraddizioni e divengono ‘inconscio politico’ nel quindicennio successivo": così che la mutazione viene interpretata come "una accelerazione dei processi socioeconomici e culturali più tipici del moderno" e si configura come fil rouge che lega l’uomo moderno e postmoderno a quello ipermoderno. Il libro si presenta suddiviso in due sezioni. Nella prima, significativamente intitolata Laboratorio e strumenti, viene fornito al lettore un bagaglio di conoscenze, di parole chiave e di strumenti interpretativi indispensabile per l’analisi degli Autori e opere, affrontati nella seconda parte. Nello specifico, da un lato vengono presi in considerazioni i due principali laboratori culturali del secondo Novecento, ovvero le riviste «Officina» e «Il Menabò», dall’altro gli strumenti proposti sono quelli della critica tematica: in particolare si affrontano il tema del lavoro e del corpo, e la teoria orlandiana che interpreta la letteratura come sede del ritorno del represso. La seconda parte si configura come un’antologia di saggi che esaminano autori e testi che condividono non solo la rappresentazione della vita materiale dell’Italia dal miracolo agli anni Zero ma anche l’idea di letteratura come forma simbolica. La sezione affianca sei maestri del secondo Novecento che hanno continuato a scrivere fino agli anni ottanta a quattro autori degli anni Zero. Pur nella diversità delle forme, Franco Fortini, Primo Levi, Elsa Morante, Goffredo Parise, Leonardo Sciascia e Paolo Volponi hanno saputo rappresentare le contraddizioni della storia, il fascino e l’insidia insiti della modernizzazione italiana, percepita come una catastrofe ineluttabile. A cui l’uomo potrà sopravvivere solo se saprà modificare radicalmente le proprie forme come "i pesci (...) che con enorme spreco di energie e lasciando dietro di sé un numero incalcolabile di vittime, riuscirono a respirare anche quando i mari si erano ritirati" (Goffredo Parise, New York, 2001) arrivando a ripudiare la propria natura umana, come Mamerte, il nano sfigurato protagonista di Il pianeta irritabile.