Recensioni / Incubi a occhi aperti in margine della vita

«lo, mia madre, i miei nonni, per non dire degli zii Gregor, Valentin, Ursula, Benjamin» – fratelli e sorella della madre – i cui destini si inseguono e si incrociano in un girotondo buio, aspro, labirintico di una memoria che coniuga irremovibilmente il tempo presente con una acribia e un puntiglio drammaturgicamente beckettiano, mentre è a Shakespeare che, nel corso di questo straordinario racconto/pièce, si fa continuo riferimento, fin dal titolo che richiama un celebre brano del Re Lear. Sono cinque capitoli o atti teatrali di una vicenda privata, sublimata da una immaginazione creativa che la rende, al tempo stesso, realistica e poetica come lo sono i sogni e gli incubi a occhi aperti. Egli è sempre «seduto da solo sulla panca nella brughiera stepposa» a dialogare con i suoi vecchi parenti rappresentati, in un geniale e teatralissimo ribaltamento anagrafico, più giovani di lui, per cercare di capire dove e perché la Storia ha interrotto il suo cammino, nell’illusione dì potere avviare un nuovo percorso. Si parla del destino dell’Europa nel secolo scorso e si evoca l’unico episodio di guerra partigiana accaduto dentro i confini del Terzo Reich. Testo mobile che si può leggere o vedere rappresentato senza che si perda nulla della sua forza visionaria ed emotiva. Intanto su ogni frase, su ogni movimento domina un terribile silenzio. «Ancora silenzio», e non è una semplice didascalia.