Recensioni / Via le etichette dall'estetica di Croce

Paolo D'Angelo Una raccolta di saggi da Quodlibet

 

È forse tra l’una e l’altra delle sue fumose lezioni di Estetica all’Università di Roma (fumose nel solo senso che allora si poteva tenere lezione fumando: in quel caso sigarette francesi senza filtro, posando cenere e mozziconi in una scatolina metallica svuotata delle preventive pastiglie alla menta), che Emilio Garroni ha scritto, nel 1982, in pieno impero semiotico, che occorreva ancora chiarire al suo interno il pensiero di Croce, «pensando e ripensando davvero proprio i problemi che esso pone a se stesso». Le parole concludevano l’introduzione a un volume dedicato, nientemeno, in quegli anni, all’estetica di Croce da un giovane studioso. La sorpresa non era nel fatto che Garroni mostrasse vicinanza a quelle questioni, ma che una nuova generazione di studiosi si prendesse la briga di rimettersi a fare i conti con il grande accantonato della cultura italiana; per quanto accantonato, dunque, ben presente. Ora Paolo D’Angelo, fin dal titolo del suo libro – che non raccoglie L’estetica di Benedetto Croce dell’’82 perché i lavori giovanili è meglio lasciarli dove sono –, riprende il discorso su Il problema Croce (Quodlibet, pp. 288, € 22,00), affrontando, in una serie di saggi ariosi per confidenza con la materia, cruces che appaiono ben vive, a cominciare dalla natura filosofica dell’estetica di Croce, fin dall’inizio, in verità, avversata da parte gentiliana, «per scarsa o nulla filosoficità», fino a vedere in essa estetica qualcosa di buono al massimo per i letterati, spiriti notoriamente restii al filosofare. La questione fu controversa fin da subito e la storia della ricezione di Croce è per questo uno dei capitoli più importanti del nostro Novecento. Nonostante molto sia stato detto, manca ancora una sezione che sarebbe fondamentale per aggregare tante risultanze parziali, ovvero una biografia ben fondata (non si è andati molto oltre il vecchio volume di scuola di Fausto Nicolini). Di sicuro gli equivoci che hanno da subito accompagnato la ricezione dell’estetica crociana in Italia riguardano la storia culturale per come coinvolge non solo schieramenti di gruppo, ma per come crea tensioni individuali. Se D’Angelo ricorda in entrata il nome di Emilio Cecchi quando scriveva: «il problema, per Croce, è di ridiventare un problema, di stancarsi di essere soltanto una soluzione», torna in mente un’osservazione di Luigi Baldacci sulla mai certa separazione tra i letterati: «penso – scriveva Baldacci – al dramma degli anticrociani, Cecchi o De Robertis o Cardarelli, che poi erano crociani, penso aicrociani di formazione, Gargiulo o Borgese o Tilgher, che poi furono anticrociani davvero». Croce l’operoso, il grande borghese, l’outsider senza laurea e senza cattedra sempre attento all’Università che lo avversò più di quanto non si ricordi, oggi ancora combatte con gli equivoci, le liquidazioni, la sufficienza sottovalutativa. In un capitolo, D’Angelo argomenta sul significato dell’aneddoto in Croce, che è talvolta supremo narratore, oltre che sempre insigne prosatore. Basta osservare il modo in cui Croce rende funzionale l’aneddoto storico (che assomiglia al dettaglio di Warburg, il luogo in cui si annida il buon Dio) per accorgersi come il suo tratto filosofico sia pratico, perfino disponibile e aperto: certo, entro un rigore del quale non occorre far cenno, ma fuori della dogmatica che, sì, appartenne alla peggior parte della sua scuola, rendendo fissità ciò che nasceva come mobilità, rendendo schema ciò che nasceva come formula operativa. Dev’essere anche per questo che, nella ricezione, la definizione di «estetica metafisica» indica «una zona di insoddisfazione»: ma per far questo passa attraverso un arbitrio linguistico, confondendo due parti della filosofia la cui fusione è impropria, «come se si parlasse (ma già questo suonerebbe stravagante) di una "estetica logica" o di una "estetica etica"». Il tutto per rinnegare la portata filosofica di quell’estetica e, in sostanza, per tentare di scardinare il sistema di pensiero dentro cui nasce e che tiene vivo. Caso diverso ma convergente è la definizione di «estetica romantica», persistente in senso ugualmente riduttivo o spregiativo. Si può notare che le aggettivazioni scelte polemicamente («metafisica» o «romantica») sono sempre state contenitori troppo ampi, da riempirsi a piacere in mancanza di precise specificazioni: rileggere oggi Croce passa per la disincrostazione delle genericità cumulate nel corso del tempo. Allo stesso modo, valutare Croce sulla scia di categorie correnti è un’altra inesattezza: la stroncatura è vacua esibizione, la lode è inutile. Occorre collocare Croce al giusto posto e con le giuste prospettive perché abbia davvero qualcosa da dirci. Per questo Il problema Croce, che ciò fa, è anche, a suo modo, un libro di filologia al servizio della filosofia.