Narrativa. Ripubblicato La banda dei sospiri del ‘76
Un romanzo divertente, comico e neorealista, una visione del mondo dagli occhi di un bambino
Gianni Celati è una delle voci più importanti della letteratura italiana nell’ultimo scorcio del Novecento e una sentinella profetica affacciata sul terzo millennio. Il critico, e docente di Sociologia della letteratura e Letteratura italiana presso l’Università di Bergamo, Marco Belpoliti lo ha definito, senza mezzi termini, «il più importante narratore italiano vivente». Forse ha ragione, forse no, ma per esserne certi bisognerà attendere la decantazione del tempo.
Gianni Celati, nasce a Sondrio nel 1937 figlio di un usciere di banca e di una sarta, trascorre l’infanzia e l’adolescenza in provincia di Ferrara. Dopo il servizio militare, grazie a un amico psichiatra, si concentra a studiare le scritture dei matti. Si laurea in letteratura inglese con una tesi su James Joyce. Scrive il suo primo libro, Comiche, che Calvino legge su una rivista e fa pubblicare da Einaudi nel 1971.
Negli Stati Uniti
Trascorre due anni negli Stati Uniti alla Cornell University. Dal 1973 al 1978 è professore di Letteratura angloamericana al Dams di Bologna. Nell’anno scolastico 1976-77 tiene un corso sulla letteratura vittoriana minore e da un seminario su Lewis Carroll nasce Alice disambientata (L’erba voglio, 1977), che contiene anche gli interventi degli allievi, trai quali ci sono i futuri scrittori Palandri, Piersanti e Tondelli.
Le opere
Tra le sue opere, si possono ricordare: Comiche, Le avventure di Guizzardi, Lunario del Paradiso, Narratori delle pianure, Quattro novelle sulle apparenze, Verso la foce, Avventure in Africa, Cinema naturale, e Fata Morgana. Celati è uno scrittore ipercolto e un narratore in apparenza sgangherato, «uno che gioca non solo con se stesso e con noi lettori», ha scritto Belpoliti, «ma anche con la letteratura, fa il verso ai libri, li prende in giro, così come dice di prendere in giro se stesso». Bisogna partire di qui, da questa falsa contraddizione che lo colloca ai margini della letteratura attuale e insieme lo pone in avanti rispetto al suo tempo. Il romanzo La banda dei sospiri, pubblicato per la prima volta da Einaudi nel 1976 è stato ripubblicato da Quodlibet editore (pp. 264, € 15).
La storia
È la storia di un allegro, puzzolente e tragicomico ragazzino di nome Garibaldi, e della sua sgangherata famiglia che include: un padre sbraitone, una madre sarta che fa compassione, un disgraziato fratello, inventore di storie strampalate e aspirante romanziere, e vari zii, nonni e cugini, ognuno con i loro tic e le loro manie. Il piccolo Garibaldi, come ogni ragazzo della sua età, frequenta la scuola, descritta come un luogo strambo in cui a insegnare c’è un maestro pelato con la fissa delle poesie a memoria, e a tentare di imparare dei bizzarri compagni, che più che pensare a studiare sono soliti masturbarsi sotto i banchi mentre il loro insegnante svolge le sue lunghissime e noiosissime lezioni su Leopardi. In mezzo a questo divertente e giocoso sfondo, Garibaldi, con i suoi occhi di bambino, indaga sulle attività dei grandi come la politica, la religione e il sesso traendone delle spassose conclusioni. La banda dei sospiri è un libro comico perfetto che rallegra il lettore portandolo in un mondo infantile e colorato. Come ha raccontato Gianni […] partito per gli Stati Uniti e mi sono trovato a vivere in una casa con una decina di persone: c’era un irlandese del Michigan, c’era un indiano, c’era un pakistano, c’era un giapponese, c’era un ebreo, del New Jersey. Era una comunità varia dove ognuno aveva la suaparlata, tranne me in quanto straniero. Ed è il motivo per cui di sera mi son messo a scrivere pezzi di quello che è poi diventato La banda dei sospiri. Avevo bisogno di sentire una parlata familiare nell’orecchio: quella dei miei zii muratori, dei miei zii e zie sarti, di mio zio calzolaio. Scrivevo pezzi sparsi come i miei sogni annoiati, sempre seguendo il principio rablesiano della cura comica… Perché c’è anche questo da dire: io vengo da una famiglia dove la comicità faceva parte di modi di stare assieme quotidiano, molto più che nelle famiglie borghesi. Mio padre mi scriveva lettere comiche, aveva quella vena. Insomma: in quel posto, di sera buttavo giù brani sparsi riferiti ad un mio retroterra mentale, per ritrovare un sapore familiare delle parole. In quello che scrivevo c’era si la fuga dalla famiglia, però c’era anche quel grembo che è il suono d’una parlata di casa».
Comicità
Da questa scrittura comica e neorealista si capisce perché Celati ha cominciato a trafficare anche col cinema. Aparte la passione da cinefilo, spettatore indefesso, di cui restano vistose tracce nei suoi libri, nei testi come nelle copertine, è negli anni Settanta, quando Memé Perlini gli scrive perché pensa di trarre un lungometraggio dal suo libro d’esordio, Comiche (1971), vera e propria sarabanda slapstick. Poi c’è ancora una sceneggiatura, con l’amico Alberto Sironi, dedicata a Coppi.
L’idea di far passare dietro la macchina da presa Celati è di Angelo Guglielmi. Nel frattempo è uscito il reportage di Verso la foce nel 1988. Il direttore di Rai3 gli chiede di girare un film su quei luoghi: un po’ viaggio e un po’ reportage. Per risposta Celati carica tutti i suoi parentidi Ferrara e gli amici su un autobus e li porta in giro per la Bassa, fino alle foci del Po. Ne scaturisce Strada provinciale delle anime (1991), un documentario ma anche un racconto sul racconto, diario di viaggio, storia in trasferta.