Recensioni / L'ultima risata. Comici ebrei nei lager nazisti

L’ultima risata nasce da una ricerca i cui esiti complessivi sono pubblicati in un volume, Ridere rende liberi, in uscita presso Quodlibet – sulle sorti di alcuni comici ai quali si deve negli anni Trenta la grandezza leggendaria del cabaret e dello spettacolo leggero mitteleuropeo, in particolare di quello berlinese. In gran parte ebrei, come ebreo era il colore del loro umorismo, la sorte di questi artisti è segnata dall’avvento di Hitler al potere. Espulsi dai set e dai palcoscenici sui quali avevano primeggiato, le loro performance si replicano in condizioni sempre più dure. La ghettizzazione: nell’autunno del ‘33 nasce a Berlino la Lega della cultura ebraica dove, finché la Gestapo non ne serra i battenti, "l’arte verrà prodotta dagli ebrei solo per gli ebrei"; la deportazione: il campo di transito di Westerbork, in Olanda, o l’"insediamento ebraico" di Theresienstadt, in prossimità di Praga, ad esempio, ospitano fra le varie forme di attività artistica, celebri cabaret, animati dagli artisti tedeschi, olandesi o cechi che vi erano internati; lo sterminio, nel quale la maggior parte degli artisti finirà col concludere la propria esistenza. Le vicende di questi personaggi non raccontano soltanto la storia di alcuni comici – comici di grande successo: la notorietà li accompagnerà fino alla fine – ma inducono, al di là delle specifiche occorrenze storiche, una riflessione sul comico nelle situazioni più estreme, quando le figure che lo mettono in essere, chi ride e ciò di cui si ride, corrispondono alle persone fisiche di aguzzini e vittime. Anche se, all’interno della relazione teatrale che eccezionalmente ne configura il rapporto, agiscono come spettatori e attori, ai quali è riservata "l’ultima risata". Il racconto scivola fra la narrazione in prima persona – la Berlino d’epoca rivissuta attraverso le memorie familiari; l’evocazione del repertorio storico – canzoni, ballate, sketch degli anni Trenta; le testimonianze di carattere documentale e le riflessioni sul senso e sui paradossi della vicenda narrata ai quali si deve, negli anni Trenta, la grandezza leggendaria del cabaret e dello spettacolo leggero mitteleuropeo, in particolare di quello berlinese. La lettura/spettacolo L’ultima risata è tratto dal volume Ridere rende liberi. Comici nei campi nazisti, di Antonella Ottai, pp. 234. Quodlibet, gennaio 2016.

Antonella Ottai ha insegnato presso il Dipartimento di Storia dell’arte e Spettacolo dell’Università "Sapienza" di Roma. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni sullo spettacolo italiano e internazionale degli anni Trenta, con particolare attenzione alle scene comiche (Coma a concerto. Il Teatro Umoristico nelle scene degli anni Trenta, Eastern. La commedia ungherese nello spettacolo fra le due guerre). Presso Sellerio, ha pubblicato un libro di racconti autobiografici, Il croccante e i pinoli.

 

1) È tutta colpa degli ebrei, Felix Hollaender, sulle note della Habanera dalla Carmen di Bizet, traduzione e libero adattamento di Franca D`Amato.

 

Se diluvia o non piove mai,

se c`è una afa che ti fa svenir,

se c`è vento o fa freddo assai

congelato pensi di morir.

S’è bel tempo o coperto è,

se la neve fitta cade giù,

se non basta manco un vin brulè,

o se invece c`è un bel cielo blu .

 

TUTTI

 

E` degli ebrei, è degli ebrei,

la colpa è tutta quanta degli ebrei,

la colpa è tutta degli ebrei,

è sempre e solo colpa degli ebrei 

In culo a chi? Ci vada lei!

Non lo capisce è colpa degli ebrei,

Ci creda o no, non mentirei,

si sa che è solo colpa degli ebrei .

 

2) "Alla fine, siamo tutti figli di Adamo!... Almeno.... a partire dalla 2° fila", come disse il cabarettista Max Ehrlich, nel corso di uno spettacolo di rivista nel campo di transito di Westerbork , Olanda , dove era internato , rivolgendosi a un pubblico composto da internati e SS.

 

3) "Amici, benvenuti! Siete fortunati a essere qui questo pomeriggio. Qui abbiamo l’arte e gli artisti migliori dell’intera Germania. Qui potete ridere apertamente dei nostri scherzi. Qui c`è il teatro più libero del Reich. Fuori di qui, attori e pubblico sono terrorizzati perché hanno paura di finire in un campo di concentramento. È una cosa di cui noi non ci dobbiamo assolutamente preoccupare..." (presumibilmente, Werner Finck, durante uno spettacolo nel campo di concentramento di Buchenwald )

 

4) "I trasporti per Auschwitz naturalmente ci stavano – e ci stavano ogni martedì – ma intanto bisognava anche ridere!" La brutale paradossalità di quest’affermazione di Jetty Cantor, fra le poche sopravvissute della compagnia teatrale del campo, la Gruppe Beihne di Westerbork, punta il dito sulla liceità della risata in un contesto di dolore nel quale avrebbe dovuto essere interdetta; e soprattutto sulla sua normalità laddove vigeva lo stato di eccezione.