Ritratti di santi «folli»
A leggerlo, si capisce perché Federico Fellini per il film La voce della luna si sia ispirato a un suo libro del 1987, Il poema dei lunatici. Ermanno Cavazzoni racconta con un'ironia quasi priva di intenzione, trasformando cose serie in semiserie senza mai tradire la verità. È così anche ne Gli eremiti del deserto (Quodlibet, pp. 134, euro 14), in cui scartabella fonti millenarie per restituirci personaggi in grado di far sbiadire la figura di Milarepa, il celebre anacoreta buddhista. A leggerne le storie, si stenta a credere di averli dimenticati nel nome di un esterofilia più occidentale che italiana, la quale sacrifica la grandezza del culto tradizionale in favore di altri.
Cavazzoni non ci fa pesare di aver scomodato le opere di San Girolamo, Atanasio, Rufino, l'Historia Lausiaca, e poi ancora Teodoreto. Tutti vissuti tra il IV e il V secolo d.C., li a raccontarci di uomini che scelsero la solitudine e la miseria per consacrare la propria vita a Dio. Storie da far impallidire Siddharta che si macera per anni sotto un albero in attesa dell'illuminazione. Molti, tra i nostri santi, neanche lo avevano un albero. E neppure lo volevano.
Si rintanavano nei luoghi più impervi del deserto, in Palestina, in Egitto e in Siria, per sfuggire alle moltitudini e pregare, resistendo alle tentazioni del demonio. Rincorsi, loro malgrado, da genti ansiose di essere guarite da malanni. Alcuni sono, alleggeriti dalla penna dell'autore, addirittura divertenti. Soprattutto gli eremiti siriani, i più eccentrici, tra i quali ricordiamo Simeone, famosissimo già ai tempi suoi. La fama di guaritore aveva raggiunto i sudditi dell'impero romano, ma anche persiani, medi, etiopi e sciti. Tuttavia lui non voleva nessuno intorno e alla fine, lasciata la vetta dove si era legato a una pietra con una catena di ferro standosene a pregare con gli occhi fissi al cielo, si era trasferito in cima a una colonna. Gli piaceva stare vicino a Dio, ma soprattutto lontano dagli uomini.
Altri ancora sono celebri. Come Antonio con le sue tentazioni. Egiziano, un giorno in chiesa sentì dire: «Vendi tutto e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo». E così fece. Se ne andò tra i sepolcri lontano dalla città, mangiando solo pane all'imbrunire e dormendo sulla terra dura. Alla fine trovò rifugio in una tomba vuota, ma persino li i demoni che lo tormentavano lo raggiunsero per picchiarlo.
Quindi si trasferì in una fortezza abbandonata. II suo peregrinare tra tentazioni e amor di Dio durò oltre cento anni, perché i digiuni e le privazioni non avevano minato né il suo corpo né la sua anima. Una volta lo raggiunsero dei filosofi, e lui diede prova di logica e lucidità mentale sparigliando i loro sillogismi: Dio era più forte di tutto.
L'elenco è lungo e non annoia mai. Tra gli altri, ci sono llarione che recitava a memoria le Sacre Scritture e si cibava di radici crude. Paolo che aveva trovato rifugio in una zecca clandestina di Antonio e Cleopatra: passò la vita in solitudine cibandosi dei datteri di una palma. Macario di Alessandria che «traversava il deserto come fosse un mare, orientandosi con gli astri» e aveva liberato molti indemoniati e guarito una paralitica di nobili origini venuta a lui fin da Tessalonica. C'è anche il semisconosciuto Didimo, buono al punto da potersi permettere di camminare sugli scorpioni e sui serpenti, poiché questi non gli facevano niente.