Sono trascorsi quasi trent'anni dall'anno del primo libro di Ennanno Cavazzoni, Il poema dei lunatici (1987), quello che colpì l'attenzione di Fellini che invitò lo scrittore a collaborare alla sceneggiatura di «Le voci della luna». È da allora che gli scritti dell'autore emiliano viaggiano sul filo dell' essere lunatico, il cui senso si ritrova in molte delle opere successive: a cominciare da I sette cuori (1992), che rivela anche quella che sarà la sua partecipazione all'Oplepo (l'Opificio di Letteratura Potenziale), per continuare con Vite brevi di idioti (1994), Gli scrittori inutili (2002), Storia naturale dei giganti (2007), Guida agli animali fantastici (2011), La valle dei ladri (2014) che descrivono mondi immaginari ai margini della follia e dell'assurdo. E, se la sua scrittura, funambolica, ha il carattere del sogno che naviga attraverso
Insoliti e stravaganti confini, la lettura delle sue pagine, specie quando è fatta in diretta, scatena un sottile, irrefrenabile e intelligente sorriso.
Cavazzoni pratica una forma di letteratura che travalica i confini ordinari legati al giudizio estetico e artistico; egli preferisce andare oltre, invadendo il territorio delle fantasticazioni
(Il limbo delle fantasticazioni è proprio il titolo di un suo libro del 2009). Così anche in questo suo ultimo lavoro, Gli eremiti del deserto (Quodlibet, pagine 136, euro 14), il registro e il tono sono riconducibili a quelli degli scritti precedenti, ma questa volta il contenuto è veritiero; è soltanto la forma che fa immaginare una sorta di invenzione. Le storie di 60 eremiti, per un verso leggende, ma per altri versi reali, partono da fonti certe, come le opere di San Girolamo, di Atanasio, Rufino e Teodoreto, le quali narrano di tanti che dedicarono la propria vita a Dio scegliendo la solitudine.
La penna di Cavazzoni è leggera e conferisce alle storie una veste leggera, tanto da far
dubitare della loro veridicità. Come la storia di Simeone, un eremita siriano la cui fama di guaritore fece sì che fosse tanta e tanta la gente ad accorrere da ogni parte per chiedere benefici cercando di toccare il suo famoso mantello di cuoio: stanco di tutto ciò, Simeone pensò di stabilirsi su di una colonna altissima sulla quale rimase a condurre la propria vita di preghiera poiché gli piaceva stare vicino al cielo. E così accade per molti degli «eremiti» di queste storie: cercavano solitudine e finivano per essere assediati da folle di fedeli imploranti; come per Ilarione, nato in Palestina, il quale si ritirò nel deserto tentando di trovare la pace fuggendo a tentazioni di ogni genere come l'apparizione di donne nude o la visione di piatti succulenti; lo cercavano in tanti, però, sempre a supplicare grazie e guarigioni. Se ne andò allora in giro alla ricerca di solitudine, fino alla Sicilia dove pure in tanti continuarono am seguirlo, e ancora fino a Cipro dove finalmente raggiunse un luogo inaccessibile tutto per sé.
Tutte storie d'altri tempi. Lo riconosce Cavazzoni stesso in un suo scritto parallelo a proposito dell'impossibilità di un qualsiasi eremitaggio al giorno d'oggi, quando le difficoltà sarebbero tante e con costi altissimi a partire dall' accumulo di tutte le tasse e le bollette non pagate che l'eremita diventerebbe un evasore; se proprio insistesse nel proposito, l'aspirante eremita avrebbe da programmare tutto per tempo ma ce ne vorrebbe tanto e tanta fatica che, chissà, finirebbe per rinunciare!
Ancora una volta Cavazzoni mostra di prediligere una scrittura che si discosta dal concetto di una letteratura «forte», trasmettitrice di esperienze fondamentali e utili per la vita.