Recensioni / L'eroicomica avventura degli eremiti del deserto

Due libri narrano gli «esili volontari» di antichi monaci, amanuensi e compilatori. Fino agli anacoreti di oggi. Ma cosa li accomuna? La vita come mistero buffo

 

Se ne stanno lontani, non semplicemente appartati ma avulsi dal cosiddetto consesso civile; chi, molto di rado, ha avuto a che fare con loro li descrive come figure aspre, a volte tenere: bizzarre, più esattamente inquietanti. Traendo spunto dalle historiae dei compilatori dei primi secoli, in Gli eremiti del deserto (Quodlibet) Ermanno Cavazzoni ricostruisce le vicende eroicomiche di un manipolo di campioni dell'emarginazione volontaria vissuti tra Egitto, Siria  e Palestina. C'è Paolo, alla morte del quale piansero anche i leoni, e c'è Ilarione, asceta di successo, vittima della fama suscitata dalla sua misantropia; ci sono Isidoro – nudo per tutta la vita senza mai fare un bagno – e Tolomeo, che resistette quindici anni raccogliendo la rugiada con una spugna; Macario d'Alessandria, il perfezionista dell' ascesi, che decise di espiare l'uccisione di un insetto recandosi presso una palude «dove le zanzare sono grosse come vespe e forano anche i cinghiali», e si gonfiò talmente che al suo ritorno lo riconobbero solo dalla voce.

Solo con un cane vive anche il vecchio Adelmo Farandola in una casetta sperduta nel bianco tenace delle Alpi, tra sporadiche discese al villaggio e un inverno che da stagione evolve in qualcosa di perenne. Neve, cane, piede (Exòrma) di Claudio Morandini racconta l'oblio gelidamente stravagante, le cose che smarriscono i contorni, i ricordi che si fanno indistinguibili dall'immaginazione, le conversazioni col quadrupede. Finché un giorno un piede umano sbuca dalla neve («È un piede – fa Adelmo Farandola», «È dei vostri – fa il cane») e allora si tratta di capire che ci fa li. Ma poi non serve sapere; conta solo lo sguardo, che come quello degli altri anacoreti ci rivela il mondo nella sua natura di tragicomico enigma.