Recensioni / Le utopie realizzabili di Yona Friedman

Pare di buon auspicio il ritorno di interesse, negli ultimi, anni, per la figura e l'opera dì Yona Friedman (1923), architetto e pensatore trai più originali dal Dopoguerra a oggi. Ne sono testimonianza la presenza a Documenta 11 e alla 50a Biennale d'Arte, nell'area Station Utopia, oltre che la traduzione italiana di Utopie realizzabili (Quodlibet, Macerata 2003), manifesto teorico-pratico delle sue idee*. Difficile comprimere in poche righe una biografia umana e professionale così stratificata: Friedman si fórma nella Budapest cosmopolita tra le due guerre, attraversa indenne gli anni 1939-1945 ("Ho compreso l’importanza dell'invenzione"), lavora poi ad Haifa nei primi anni dello Stato di Israele. AI CIAM del 1956 espone il concetto della “ville spatiale”, i principi cioè di un’architettura che possa comprendere le continue trasformazioni che caratterizzano la “mobilità sociale”, basata su infrastrutture che possono essere continuamente ricreate da chi vi abita. Dalla fine degli anni Cinquanta si trasferisce a Parigi e lavora tra Francia e paesi del Terzo Mondo. Esamplificazione del suo lavoro di architetto è il Museo delle Tecnologie Possibili di Madras (1987), struttura didattica in cui si illustrano i principi. di autocostruzione partendo da materiali locali come il bambù.
"Mi sembra che ogni pensiero, anche il più complesso, possa essere espresso in maniera semplice e che un disegno possa arricchire o precisare una frase. In Cina, ad esempio, i disegni che accompagnano un testo lo rendono più chiaro, più facilmente traducibile per noi". A lui, antidisciplinare per eccellenza, chiediamo come debba avvenire oggi la formazione dell'architetto: “in passato gli architetti erano persone colte interessate a più discipline. Oggi coltivano l'informatica, il business e il marketinig. A me pare che manchi soprattutto l'immaginazione”, A proposito di Utopie realizzabili, uscito in prima edizione nel 1975, commenta: “Ho fatto qualche modifica, ma la società non è molto cambiata, se non nella tecnologia della comunicazione. Trovo che questa tecnologia abbia messo in rilievo la tesi origiinale del Libra: i limiti della comunicazione sono i risultati del nostro intelletto, non dipendono dalle tecniche applicate. La comunicazione è alla base di tutte le attività sociali, dunque anche delle utopie. Queste ultime possono essere realizzate attraverso la comunicazione, avendo consapevolezza dei limiti”. Friedman introduce in questo modo il concetto di “gruppo critico”, il limite massimo di persone entro il quale la comunicazione può avvenire senza essere distorta. Passando dalla piccola alla grande scala, già nel 1961 Friedman affermava che l'Europa era il risultato delle sue connessioni ferroviarie. "Penso all'Europa come a una ‘città-continente’, una rete legata dai treni superveloci che hanno 120-150 stazioni, cioè le medie e grandi città. Non credo che queste ultime si svilupperanno ulteriormente, ci sarà piuttosto una moderata crescita simultanea delle città-nodo della rete”.
Utopie realizzabili è da leggere a specchio con Il condominio di James Ballard (Feltrinelli, Milano 2003), rovinoso racconto di un’utopia non relizzata.