Il bisogno? Un sogno e il suo doppio, il fantasma di un fantasma. L’agonia? La dolorosa epopea dell’ago, costretto a vagare di continuo senza potersi mai conficcare stabilmente in nessun posto, a trapassare solo in modo transitorio. L’Etimologiario uscito per i tipi di Quodlibet (pp. 128, € 12) è un omaggio meraviglioso e divertente alla lingua italiana e alle innumerevoli possibilità che ha il linguaggio.
L’autrice è Maria Sebregondi, traduttrice di Raymond Queneau e Georges Perec, membro dell’Oplepo, il circolo dedito a giochi letterari-enigmistici, inventrice dei taccuini Moleskine. L’etimologiario non è un dizionario, è un viaggio parallelo nella lingua, un atto d’amore nei confronti delle parole e dell’intelletto capace di giocare, innanzitutto con se stessi.
Le definizioni etimologiche, in rigoroso ordine alfabetico dalla A alla Z e ritorno, suscitano sorpresa.
Non tanto per lo stupore che ogni volta svelano, ma per la capacità di aprire a nuovi sguardi e significati. Nell’etimologiario "ufficio" si trasforma in un derivato di "uff" o "uffa" e quindi nel «doveroso atto dello sbuffare e, per estensione, nel luogo preposto allo sbuffo individuale e/o collettivo». Lo zenzero, composto dall’aggettivo "zen" e dal sostantivo "zero" vale da solo la lettura del libro. Basti l’incipit: «Aromatica testimonianza dell’origine buddista del simbolo zero...».
Da tenere sul comodino in ogni stato di umore.