Architetto; urbanista, designer, ma anche studioso di sociologia, fisica e scienze della comunicazione, Yona Friedman, nata a Budapest nel 1923, è tornata al centro della cultura architettonica internazionale dopo essere stata a lungo liquidata come “utopista”. Membro della resistenza antinazista ungherese, Friedman ha trascorso alcuni anni a Haifa, in Israele, dove ha abbozzato la prima delle sue molteplici teorie, vale a dire il "Manifesto dell'architettura mobile" in cui speciali sistemi di costruzione permettano all’abitante di determinare la forma e lo stile del suo appartamento e di cambiarlo quando lo desidera, Le sue proposte si distinguono perché indicano anche la forma sociale e politica più 'idonea da assumere affinché siano fattibili, come nella rivoluzionaria “Continent City”„ in cui l'Europa è vista come un gigantesco sistema di città-Stato. Friedman ha conosciuto un'apprezzabile notorietà a partire dal suo trasferimento nel 1957 a Parigi, per poi cadere in disgrazia, Ma ecco che oggi, con la rinascita delle utopia, la sua “Villa spatiale”, una struttura tridimensionale sollevata da terra organizzata secondo i! principio della flessibilità e dell'autoregolazione degli abitanti, sembra una soluzione praticabile. Quest'anno, grazie anche alla rivalutazione da parte di architetti e critici come Bernard Tschumi, Stefano Boeri e Hans Ulrich Obrist, Friedman sta per inaugurare alcune mostre in diversi paesi europei a cominciare dalla prestigiosa Serpentine Gallery di Londra, il prossimo 13 luglio.
Come spiega il favore che le sue idee incontrano oggi dopo essere state rimosse a lungo?
«Il problema credo consista nella lettura superficiale che ne è stata fatta nei primi anni '60. Sono stati Cioè trascurati tutti gli aspetti politici, sociali e comunicativi che vi erano implicati. Ho scritto libri come "L'architettura mobile" e "Utopie realizzabili" proprio per articolare compiutamente le mie teorie: Grazie allo sviluppo della tecnologia quelle proposte sono sempre più facili da realizzare e l’unica utopia da risolvere resta la raccolta del denaro necessario, ma questo è un problema per qualunque progetto di architettura».
Qual è il principio fondamentale su cui si basano le tue proposte?
«La centralità degli abitanti e l’uso degli edifici. Sono meno interessato agli architetti, ma compreso: gli architetti e gli urbanisti non sono più degli artisti o quelli che prendono delle decisioni, ma solo dei pubblici servitori; Gli abitanti non devono essere considerati solo some dei consumatori, ma come dei professionisti altamente specializzati ed esperti in materia di habitat, e di conseguenza devono essere coinvolti nella determinazione di ogni progetto. La realtà dipende sempre dall'immaginazione delle persone».
Come reagisce quando accomunano le forme di alcuni suoi progetti a quelle di artisti della sua generazione come Constant o ad architetti come Rem Koolhaas?
«Se ho avuto la possibilità di essere copiato, bene, questo allora era esattamente quello che volevo Ho sempre voluto insegnare a un livello globale, oltre l’università le mie idee sono state imitate 40 anni fa o ancora oggi significa che sono parte di un processo in atto e sono contento di esserne parte. Tutti i miei studi si basano sull’idea di processo, in definitiva è questo il carattere della mia opera».
Crede che la “Villa spatiale”sia la soluzione per i problemi della città del XXI secolo?
Credo che sia una possibilità e la mia proposta di una città articolata nello spazio sovrastante la città esistente è uno strumento per risolvere problemi di crescente densità delle megalopoli cinesi. Al contrario in un altro mio progetto "Continental City"; c'è l’idea che per impedire l’esplosione di megalopoli è sufficiente collegare tra loro città medie e grandi. Cos’è oggi l’Europa se non una rete di circa 150 città? Una città continente, appunto, che dovrebbe essere una federazione di città piuttosto che di nazioni.
In questo senso la “Villa spatiale” è una risposta ai problemi di oggi mentre Contitinent City è un passo nel futuro».