Recensioni / Aman, il Crocifisso di Michelangelo che anticipa Cristo

Effettobibbia. Raffigura il ministro del re persiano inchiodato a un tronco con due rami che si biforcano. Oggi un incontro sul rovesciamento delle sorti

Tra gli affreschi di Michelangelo sulla volta della Cappella Sistina vi è una scena terribile, che talvolta sfugge ai turisti-spettatori: è quella di un uomo inchiodato a un tronco con due rami che si biforcano, quasi ad anticipare la figura del Crocifisso per antonomasia.

Il dipinto rimanda al racconto biblico del Libro di Ester: Aman, ministro del re persiano Assuero, vorrebbe indurlo a far giustiziare l’ebreo Mardocheo e a far massacrare tutti i connazionali di quest’ultimo residenti nelle centoventisette province dell’impero. Il piano però fallisce e Aman viene appeso alla forca che lui stesso aveva fatto predisporre per Mardocheo: la morte del persecutore e lo scampato pericolo vengono tradizionalmente ricordati nella festa di Purim, una sorta di Carnevale ebraico, in cui spesso ci si traveste, si mangia e si beve abbondantemente.

Ma appunto, che cosa intendeva sottolineare Michelangelo, mettendo implicitamente a confronto il supplizio del perfido Aman con il sacrificio salvifico di Gesù? E ancora: perché, oltre a Purim, molte altre celebrazioni «carnevalesche», in epoche e in luoghi diversi, sembrano alludere a vicende cruente in cui i potenti vengono prima riveriti e poi defenestrati o linciati?

Avrà per titolo «“I due draghi siamo io e Aman”: Purim e il rovesciamento delle sorti» la conferenza a ingresso libero che lo studioso Andrea Damascelli terrà oggi alle 18 nella sede della Fondazione Serughetti-La Porta, inviale Papa Giovanni XXIII, 30; l’incontro rientra nel programma dell’edizione 2016 di Effettobibbia, dedicata appunto al Libro di Ester.

Damascelli ha tra l’altro curato alcuni anni fa per Quodlibet l’edizione di un testo di James George Frazer, «La crocifissione di Cristo», accompagnandolo con due articoli dello storico dell’arte tedesco Edgar Wind su «La crocifissione di Aman».

Il saggio di Frazer, che per ammissione dello stesso autore aveva un carattere fortemente congetturale, applicava alla passione di Gesù le tesi esposte dal grande antropologo britannico già nella prima edizione del suo capolavoro «Il ramo d’oro» (1890).

Filo conduttore di questa monumentale disamina di miti, credenze e rituali era l’idea che gli antichi culti agresti, riproducendo il ciclo annuale di morte e rigenerazione della natura, prevedessero periodicamente il sacrificio di «monarchi divini», onorati per un certo tempo prima di essere messi a morte.

Secondo l’ipotesi formulata da Frazer ne « La crocifissione di Cristo», un’usanza non troppo dissimile si sarebbe tramandata anche tra gli ebrei: in occasione di Purim, due prigionieri avrebbero interpretato in una rappresentazione teatrale i ruoli di Aman e quelli di Mardocheo; al termine, il primo attore sarebbe stato impiccato o crocifisso, mentre al secondo, noto volgarmente come «Barabbas», sarebbe stata concessa la libertà.

Si sarà già intuito il finale della ricostruzione: nonostante un intervento pietoso di Pilato, che avrebbe voluto fargli assegnare la parte del Barabbas, «Gesù mori sulla croce mentre impersonava Aman». Con il senno del poi, a oltre un secolo di distanza dalla pubblicazione del suo testo, sarebbe facile imputare a Frazer di aver inaugurato una serie di fantasiose interpretazioni degli scritti biblici che in epoca recente è sfociata negli sciagurati romanzi di Dan Brown; occorre tuttavia notare che la visione frazeriana del processo sacrificale non mirava affatto a sminuire la figura di Gesù o a demolire le fondamenta della fede cristiana: naturalmente, dal punto di vista di uno scettico Gesù di Nazaret sarebbe stato solo una delle tante vittime «di una superstizione barbara»; ma nella grande schiera di coloro che «perirono di morte crudele impersonando dèi – scriveva Frazer –, il cristiano devoto certo riconoscerà tipi e precursori del futuro Salvatore – stelle che annunciavano nel cielo del mattino l’avvento del Sole della Giustizia».

In un ampio commento ai testi di Frazer e di Wind compresi nel volume, Damascelli ritorna tra l’altro sulla raffigurazione michelangiolesca della Sistina: al di là degli aspetti esteriori della pena, che analogia si può dare tra il castigo inferto a «un crucifisso dispettoso e fero» (così Aman viene descritto da Dante, nel Purgatorio) e la passione di Gesù?

Riprendendo un’intuizione di Wind, Damascelli suggerisce che l’idea di rappresentare Aman come paradossale precursore di Cristo possa essere legata alla concezione di San Paolo per cui, con Cristo, sarebbero stati crocifissi il male e il peccato («Sappiamo bene – si legge in Romani 6,6 – che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato»).

L’inquietante collegamento tra i due crocifissi proposto da Michelangelo alluderebbe quindi al modo in cui – secondo Paolo – si è attuata la grazia della redenzione, alla singolare regalità esercitata da Gesù, nel segno di una totale donazione di sé, fino alla morte.