Recensioni / Il «mio» Burri che poi mi tradì

Enrico Crispolti, che per primo lo comprese e valorizzò, racconta gli anni iniziali e i contrasti

 

Nella collana dell’editore Quodlibet della Biblioteca Passaré di arte contemporanea viene edito, a cura di Luca Pietro Nicoletti, il volume Burri esistenziale: un taccuino critico storico preceduto da un dialogo attuale. E già da queste precisazioni si intuisce che non si tratta solo di una raccolta di testi critici. Nel qual caso ci troveremmo di fronte a un corpus, senza dubbio importante da un punto di vista storiografico, per studiosi o per addetti ai lavori. Ma il fatto che siano dedicati a un solo artista per di più etichettato come «esistenziale» non può che destare curiosità anche a chi, non addentro alle segrete cose, sia appassionato delle vicende dell’arte contemporanea.

L’autore è Enrico Crispolti, storico dell’arte e docente di chiara fama, curatore di molte mostre, collaboratore della Biennale di Venezia, autore di monografie e cataloghi generali di artisti. Studioso dell’informale e del futurismo, si è anche occupato di Pop art, Neoespressionismo, Arte ambientale e partecipativa. Crispolti scrive di Alberto Burri, uno dei pochi artisti italiani degli anni Cinquanta a cui venga riconosciuta una dimensione internazionale. Burri porta una ventata d’aria nuova nel panorama dell’arte italiana dando una svolta alla ricerca artistica del tempo.

Il volume si apre storicamente nella Roma della ricostruzione, una capitale culturale viva e curiosa nell’acquisita libertà ma anche palcoscenico di baruffe tra critici sostenitori di diverse tendenze. Lionello Venturi, ritornato dall’esilio antifascista negli Usa, considerato il «Papa» della critica, domina la scena imponendo l’«astratto concreto». Argan, più giovane, in un primo tempo allineato alla tendenza imperante, non fa ancora sentire il proprio peso critico mentre Brandi si interessa in quel tempo a un’arte dai toni espressionisti d’ambiente intimista romano. La voce fuori dal coro è quella di un poeta e intellettuale, Emilio Villa, critico militante d’avanguardia di particolare acume. In questo contesto dall’Umbria giunge Burri, che già aveva esposto negli Usa. Trova tra i primi sostenitori lo scultore informale Edgardo Mannucci e l’appoggio di Villa mentre la critica ufficiale lo accoglie più con freddezza che con entusiasmo.

La pittura di Burri colpisce un giovane critico: Crispolti appunto, nato nel 1933 a Roma, allievo di Lionello Venturi. Il critico si afferma nella Roma del dopoguerra per la propria intuizione che lo porta a investigare sui nuovi fenomeni artistici. Burri ne ha tutte le caratteristiche e sembra giungere proprio nel momento in cui il critico intraprende una propria strada. Enrico Crispolti a soli 24 anni organizza nella galleria La Salita una collettiva in cui Burri espone con altri due affermati esponenti dell’informale: Morlotti e Vedova.

Nella frequentazione di Colla e Mannucci Burri si era avvicinato all’astrazione per poi iniziare un percorso oggettuale utilizzando catrami, quindi piccole tele incollate per giungere ai famosi sacchi. Seguiranno i legni, i ferri e le plastiche e poi i primi cellotex. Un percorso che Crispolti segue e analizza con passione e che si inserisce nella scoperta e nella stagione dell’informale in Italia. Lo studioso comprende che in Burri le dinamiche dell’opera sono estranee al colore mentre è fondamentale l’aspetto materico che diviene componente dirompente ed eversiva. Questa presa d’atto che gli altri critici rifiutano consente di guardare all’elemento ontologico dell’opera e riconoscerlo come dichiaratamente esistenzialista. Il sacco lacerato o combusto come presentimento dell’immane catastrofe. Era come se Burri portasse sulla tela la vita. Scrive Crispolti nei taccuini del 1995: «quelle offerteci allora da Burri rimangono forse le immagini di più radicale rifiuto contro la misura di sfacelo morale del mondo contemporaneo, che siano sorte dalla situazione italiana. Gettava infatti sul tappeto la condizione d’esistenza nella nudità della sua primaria questione ontologica».

Nel 1961 Crispolti organizza nell’ambito della rassegna «Alternative attuali» a L’Aquila un’importante retrospettiva di Burri con opere dal 1946 al 1961. Argan la recensì alla radio, venne visitata da Ungaretti, e, secondo l’autore, spinse ancor più Brandi a occuparsi di Burri: interesse che si concretizzò nella monografia che pubblicò nel 1963. Di fatto su Burri stavano confluendo interessi critici diversi. L’artista perseguendo un atteggiamento di riservatezza, che peraltro gli era solito, si disinteressò della mostra tanto che la stessa venne realizzata con le opere di collezionisti e galleristi. Ma per arrivare alla rottura si deve attendere il 1980 con la rassegna a Orsammichele a Firenze. In quell’occasione Burri espone nuovi quadri astratti interamente dipinti (ciclo «Il viaggio»). E per Crispolti quello fu «un tradimento».

Il volume presenta gli scritti di Enrico Crispoltí dedicati a una particolare stagione dell’arte di Burri, dal 1957 al 2012. Parte essenziale del volume è Esistenzialismo e materia, un saggio di Luca Pietro Nicoletti.