Valutazione sul 2015, anno di centenari, divenuto occasione per approfondimenti di studio attraverso mostre, pubblicazioni e convegni
Il 2015 è stato l'anno di importanti ricorrenze, alcune degnamente celebrate, come il centenario dello spoletino Leoncillo, al quale è stata dedicata una mostra (a cura di Massimo e Francesca Duranti e Andrea Baffoni, a San Gemini) e giornate di studi (a cura di Stefania Petrillo, a Spoleto). Altri anniversari sono stati quasi completamente ignorati: tra questi, i cento anni del Manifesto della Ricostruzione futurista dell'universo, passati in secondo piano, e, per rimanere entro i confini umbri, il centenario del pittore astratto Enzo Rossi. In ogni caso, nessuno è stato ricordato quanto Alberto Burri. Una lunga serie di manifestazioni, più o meno interessanti, si è svolta in diverse città italiane e straniere. La Fondazione Palazzo Albizzini di Città di Castello, nata per volontà del maestro, ha omaggiato l'artista senza risparmiarsi. Giornate di studi, convegni, tavole rotonde, la pubblicazione del Catalogo generale ragionato, in cui si ravvisano purtroppo alcune mancanze, si sono susseguite incessantemente per tutto l'anno toccando l'apice dei festeggiamenti nell'antologica, ancora in corso, visitatissima, del Guggenheim Museum di New York, degno palcoscenico per il celeberrimo artista italiano. Al di fuori di questi contesti celebrativi ufficiali e lontano dalle posizioni critiche più rassicuranti, si pone la pubblicazione del libro di Enrico Crispolti Burri "Esistenziale": una raccolta sistematica degli scritti dello studioso romano o meglio ancora, come recita il sottotitolo, "un taccuino critico" storico preceduto da un dialogo attuale, sapientemente curato dal giovane ricercatore Luca Pietro Nicoletti. Edito da Quodlibet, per la collana della fondazione milanese Alessandro Passare, la raccolta di testi rappresenta la summa del pensiero di Crispolti in relazione all'opera di Alberto Burri. Un interesse che copre un ampio arco temporale (1957-2012), di cui solo il primo decennio condotto in modo strettamente militante. Il libro rappresenta dunque uno straordinario strumento al servizio degli addetti ai lavori, grazie all'assortimento di testi spesso di difficile reperimento, e si pone, per contenuti e temi, in una posizione problematica rispetto alla lettura formalista, e per certi aspetti "ottimistica", con la quale la maggior parte della critica ufficiale interpreta la parabola materica dell'artista tifemate.
Emerge infatti dagli scritti di Crispolti una visione critica diversa, in chiave materico-esistenziale, del lavoro di Burri, che rispecchia l'acquisizione consapevole da
parte dello storico dell'arte, fin dal 1957, del nuovo e già maturo contesto artistico dell'Italia di quegli anni. Una situazione che è incarnata principalmente, ma non esclusivamente, dall'opera del maestro di Città di Castello, attraverso la quale Crispolti raccoglie e pone a confronto un vasto gruppo di esperienze affini, a cominciare dalla prima mostra a tre: Burri, Morlotti, Vedova, presentata nel novembre del 1957 alla galleria "La Salita" e proseguendo, nella stagione successiva, con le due iniziative espositive alla galleria "La Medusa": Colore - Immagine e Segno e Materia, in cui si relazionano le vicende di alcune tra le maggiori personalità artistiche che si sono mosse entro ed oltre i confini dell'Informale.
La lettura materico-esistenziale si afferma, come ribadisce già negli anni Sessanta lo stesso critico, parallelamente alla corrente, oggi più dominante che mai, di coloro i quali tendono "ad archiviare la tensione realistica in un ipotetico scrupolo di ordine formale, addirittura magari ad un passo dal neoplasticismo". Il problema che affronta Burri è invece una condizione che riguarda tutti, è realtà pressante che travolge quotidianamente l'uomo contemporaneo.
Il libro si arricchisce di una lunga intervista di Nicoletti a Crispolti, che anticipa la raccolta degli scritti e che diviene l'occasione per immergersi nel contesto artistico sullo scorcio di quei vivi anni Cinquanta e per ricordare, attraverso la testimonianza diretta del critico romano, la figura di Burri, il suo carattere tipicamente umbro, tendenzialmente diffidente, decisamente timido e schivo. Dal dialogo tuttavia si comprende che, almeno fino all'incontro con Brandi (1963), Burri si era dimostrato disponibile ad un confronto, rivelatosi a volte chiarificatore per alcune iconologie sottintese al proprio lavoro materico. Era stato inoltre propenso a confermare riferimenti alla realtà vissuta nell'esperienza quotidiana e legati anche a vicende personali, come le piaghe delle prime plastiche degli anni Sessanta, che egli stesso, seppure sommessamente, confermò essere un riferimento ad un`operazione chirurgica subita pochi mesi prima. È forse proprio in questi ricordi, già documentati da Crispolti nel catalogo di un'altra fondamentale esposizione – Alternative Attuali Omaggio a Burri – presentata a L'Aquila nel 1962 e prima antologica italiana dedicata al maestro di Città di Castello, che affiora uno dei temi che sono passati quantomeno in sordina nelle occasioni di incontro offerte dalle celebrazioni ufficiali del centenario dell'artista. È stata infatti cronicamente accantonata la componente iconica dell'opera di Burri e sottaciuta quella esistenziale in favore di una lettura maggiormente incentrata sull'indagine degli aspetti formali o, come si sarebbe detto un tempo, "purovisibilistici", che restituiscono solo in parte l'aspetto innovativo della parabola artistica del tifemate. Ne è prova, come emerso nel convegno di Perugia (Materia Forma e Spazio nella pittura di Alberto Burri, Perugia 20-21 novembre 2015), la propensione attuale a considerare la ricerca della sezione aurea quale momento fondante dell'opera del maestro. Questo tipo di analisi, come hanno ammesso gli stessi relatori del convegno, in particolare Arturo Carlo Quintavalle su stimolo e supporto di Bruno Corà, non veniva applicata da Burri in modo rigoroso e quindi, a parere del sottoscritto, probabilmente non sempre era perseguita, ma era più spesso empiricamente acquisita e comunque non determinante per la lettura dell'opera iniziale del maestro.
L'intervista di Nicoletti a Crispolti solleva un altro tema, che è centrale per considerare il successivo percorso di Burri, e cioè l'analisi del panorama critico italiano a cavallo tra quinto e sesto decennio del Novecento. La rivoluzione dell'artista è infatti l'occasione per misurare la frattura generazionale operata dalle punte più avanzate della giovane riflessione teorica, tra cui non vanno dimenticati Menna, Barilli e Calvesi. Quest'ultimo, dopo l'abbandono polemico della guida della Fondazione Albizzini, è stato pressoché dimenticato negli interventi dei vari relatori al convegno perugino e in altre manifestazioni.
Allo scadere degli armi Cinquanta Crispolti, in particolare, evidenzia nell'opera di Burri la centralità della materia rispetto alla considerazione meramente pittorica, formale e strutturale, affermata dalla critica ufficiale del tempo, soprattutto da Argan, Arcangeli e Brandi (quest'ultimo in modo mitigato), che riconducono necessariamente l'impiego della materia all'interno di un fare pittorico. E mentre Venturi ignora completamente la portata innovativa dell'artista umbro, Brandi ne percepisce la dimensione materica esistenziale pur non riuscendo ad apprezzare la materia in quanto tale, ma giustificando l'opera attraverso "supposti valori pittorici". Una posizione, questa, sostenuta anche da Vittorio Brandi Rubiu, che ripubblica e aggiorna, in occasione del centenario, il noto saggio Alberto Burri (Castelvecchi 2015) uscito la prima volta nel 1975, in cui rimarca la centralità pittorica e ridimensiona una lettura esistenziale in chiave sartriana. Ma è proprio il rapporto con Cesare Brandi, maturato dopo il 1963, che sembra far precipitare in un mutismo decennale il maestro umbro, che si affiderà quasi completamente a lui per la lettura critica delle sue opere, sempre più improntate a un recesso della problematica materico esistenziale in favore di una convenzionale astrazione, che condurrà lo stesso Crispolti a disinteressarsi del lavoro di Burri dopo la mostra di Arezzo, Sei pittori italiani dagli anni Quaranta ad oggi del 1967.
In controluce emerge dunque la schietta coerenza critica di un giovanissimo Crispolti, fedele ad una propria visione sia rispetto alle diverse posizioni assunte da importanti personalità critiche (Argan-Arcangeli-Brandi etc.) che alla svolta astratta di Burri, di cui non esita a criticare gli esiti e dunque a distogliere il proprio interesse. Affiora inoltre un certo timore reverenziale di Burri nei confronti di un critico affermato come Brandi e sorge quasi spontaneo chiedersi se l'influenza di quest'ultimo non abbia avuto un peso decisivo nel cambio di rotta, più pittorico e sempre meno materico, che si registra nell'opera dell'artista a partire proprio dagli anni Sessanta.
Il saggio conclusivo di Nicoletti ricostruisce tutta la parabola critica e le vicende intercorse tra Burri e Crispolti, documentando e rintracciando le opere citate nei testi storici, ed evidenziando anche alcune lacune in importanti pubblicazioni, come la monografia di Brandi del 1963 e i contributi al Catalogo sistematico del 1990. Concludo con una segnalazione riguardo al testo Inedito (a caldo) sui "ferri", che come ipotizzato nel libro, risalirebbe al 1960 e sarebbe destinato alla rivista torinese "Notizie". Mi pare invece improbabile che possa essere stato scritto per il periodico di Pistoi: proprio nel 1960 la rivista cessa di essere pubblicata, subito dopo il numero 10 (gennaio) dedicato interamente al Secondo Futurismo. Inoltre, nella corrispondenza tra Pistoi e Crispolti, oggetto di uno studio portato avanti da chi scrive, non si fa cenno a nessun pezzo di Crispolti in merito ai Ferri di Burri. Credo piuttosto che l'articolo possa essere riferito a Maria Laura Drudi Gambillo Crispolti. In quel periodo infatti i due coniugi si dedicavano ai medesimi ambiti di ricerca, in uno stretto rapporto di collaborazione. L'ipotesi trova conferma nel fatto che una versione leggermente più lunga e con alcuni termini variati è pubblicata dalla studiosa con il titolo "I Ferri" di Burri. Si tratta di un volumetto scritto a quattro mani assieme a Giuseppe Marchiori nel 1961 (Biblioteca di Alternative Attuali), e ripubblicato nella raccolta dei testi della Drudi Gambillo: Occasioni critiche dai macchiaioli all'informale del 1975 (Fausto Fiorentino Editore).