Recensioni / Architetti visionari che sognavano l'impossibile

«Il termine non l'abbiamo coniato noi, sono altri che ci hanno definito così, a iniziare da Mendini che fece una copertina di Casabella con un gorilla e la scritta Radical Architecture » racconta Cristiano Toraldo di Francia, storico fondatore, con Adolfo Natalini, e poi con Gian Piero Frassinelli, i fratelli Roberto e Alessandro Magris, e Alessandro Poli di "Superstudio", oggi internazionalmente riconosciuto fra più interessanti gruppi di Architettura Radicale.«La nostra intenzione in realtà non era abbattere il sistema, ma anzi lavorare all'interno per cambiare l'architettura, per raccontare storie che non erano ancora state raccontate. Si figuri che la nostra prima mostra si intitolava Superarchitettura!». Così Toraldo di Francia spiega Superstudio 50, al Maxxi di Roma fino al 4 settembre, la grande mostra dedicata al movimento nato mezzo secolo fa, curata dai protagonisti stessi con Gabriele Mastrigli.Fatto sta che radicali e antagonisti invece lo furono eccome, come raccontano le loro opere sui muri di Maxxi, anzi su un muro rosso che taglia lo spazio di Zaha Hadid e dialoga con le pareti sinuose e i livelli obliqui del museo. «L'architettura è sempre un dialogo o meglio è sempre un collage» continua Toraldo a proposito dell'installazione.In mostra sfilano più di duecento progetti, disegni, collage, fotomontaggi, fotografie, film, storyboard, ma anche documenti, manifesti, libri e riviste. Si inizia dalla fondazione con la prima mostra a Pistoia nel 1966, per passare alle più diverse declinazioni del Monumento Continuo (1969), il loro lavoro più estremo, distillato in strepitosi fotomontaggi, fino a Le dodici Città Ideali, (1971), utopie negative che raccontano i limiti dell'architettura, e agli Atti Fondamentali (1971-1973), film che mettono in relazione l'architettura con le attività più importanti dell'esistenza: Vita, Educazione, Cerimonia, Amore, Morte.Camminando fra queste immagini stranianti e seducenti si coglie l'energia creativa e provocatoria di quegli anni. Superstudio era un movimento di visionari, ai confini con l'arte concettuale, che sognava costruzioni irrealizzabili e irrealizzate: come il Monumento Continuo, un'architettura modulare quadrettata che interseca natura e civiltà, attraversando Manhattan e i deserti della California, i canyon e le cascate, Piazza Navona e il Colosseo, le Alpi Svizzere e luoghi remoti. Era un progetto estremo, che azzerava l'idea di architettura come insieme di costruzioni, per mettere invece in gioco un'idea di architettura come pratica per creare relazioni. Il Monumento Continuo è connessione: in fondo era la metafora della rete prima che la rete fosse stata pensata, è l'anticipazione di un mondo globale totalmente connesso popolato da una comunità in marcia verso il futuro, pronta a entrare nell'età dell'Acquario al ritmo di Woodstock.La mostra al Maxxi è interessante perché presenta il ruolo di Superstudio come precursore di quella linea di sviluppo dell'architettura come possibilità di relazione oggi condivisa da alcuni architetti, come Kazuyo Sejima, che ha intitolato la sua Biennale di Venezia People Meet in Architecture. E in fondo si potrebbe dire che la Cctv Tower di Pechino disegnata da Rem Koolhaas ha qualche debito con il Monumento continuo.A raccontare le visioni anticipatrici del movimento il libro di seicento pagine che ne raccoglie l'intera storia (Quodlibet), così come il piccolo libello (Fortino Edition per Poltronova) che attraversa l'idea dell'abitare di Superstudio.