Recensioni / Un romanzo picaresco

È il 1976 quando viene pubblicato per la prima volta, presso Einaudi, La banda dei sospiri, terzo romanzo di Gianni Celati, elaborato tra il 1973 e il 1975 durante un soggiorno negli Stati Uniti. Siamo nel pieno di un periodo di intensa attività creativa e critica da parte dell'autore: nel 1971 esordisce con Comiche, sempre per Einaudi, e la stessa casa editrice torinese, l'anno successivo, provvederà a stampare Le avventure di Guizzardi. Nel 1975 vede la luce la prima edizione dei saggi di Finzioni occidentali, e a chiudere questa fase (a cui vanno ascritti anche i lavori preparatori per la mai realizzata rivista "Alì Babà" e l'esperienza del 1977 bolognese culminata in Alice disambientata) ci pensa Lunario del paradiso (1978), ultimo tassello dell'ideale trilogia iniziata con Le avventure di Guizzardi e proseguita con La banda dei sospiri (i tre testi saranno poi raccolti nel volume Parlamenti buffi da Feltrinelli nel 1989).

L'edizione feltrinelliana di Banda dei sospiri (che alla fine degli anni novanta sarà stampato singolarmente) è contraddistinta da un processo di normalizzazione sintattica e di edulcorazione linguistica che riduce la forza espressiva della voce narrante così come era stata ideata originariamente e limita di conseguenza l'impatto con determinati passaggi. Fortunatamente è ora offerta ai lettori la possibilità di rileggere il romanzo di Celati nella sua veste iniziale grazie alla sensibilità di Quodlibet, che nella collana "Compagnia Extra" ha ristampato l'edizione del 1976, provvedendo solo ad alcune necessarie correzioni volute dall'autore. Torna quindi, con tutta la sua dirompente energia, la narrazione in prima persona di Garibaldi, il ragazzo protagonista che attraverso i suoi occhi e le sue deformazioni linguistiche racconta la ripetitiva esistenza della famiglia in cui è nato. È un nucleo di personaggi comici e grotteschi, formato dall'irascibile padre (sempre pronto a prendere a calci qualsiasi cosa), dalla madre sarta e dal fratello maggiore (perso nei suoi libri e nelle sue inconcludenti fantasie). Tutte le figure che entrano negli eventi raccontati da Garibaldi non vengono mai indicate col nome proprio, ma tramite un soprannome o un nome comune: lui stesso è chiamato così perché corre sempre. Il percorso avventuroso del protagonista inizia, come è ovvio che sia, con la famiglia: Garibaldi avverte nei confronti del nucleo familiare un sentimento di angoscia e oppressione, di fastidio per quella follia che serpeggia nel ramo paterno dell'albero genealogico e quasi di rassegnazione per l'inevitabile ripetitività con cui l'esistenza si moltiplica di generazione in generazione ("Invece la nostra tribù di sbraitoni, io dico che doveva discendere da una razza di scalmanati selvatici con le barbe lunghe che andavano in giro a far ladrocini e scandali, e dopo gira e volta cosa succede? Succede che ai suoi discendenti gli è rimasta la tara e non c'è più niente da fare, e così discendiamo noi"). Le mura di casa somigliano allora a quelle di una prigione, ed è fin troppo naturale, da parte dei figli arrivare a sognare una via di fuga.

Parallelamente, il rapporto col mondo esterno è scandito da un susseguirsi di avventure e di rituali che coinvolgono gli amici di scuola (quasi tutti poco inclini allo studio) e le persone che si affacciano alla vita di Garibaldi e dei suoi parenti: tutti partecipano alle ingenue scoperte del narratore, dai primi fantasiosi incontri con il sesso femminile alle malefatte compiute con gli amici, dall'indifferenza nei confronti della scuola (troppo lontana dalle abitudini dei ragazzi) ai primi lavori.

In certi suoi meccanismi La banda dei sospiri sembra riallacciarsi alla tradizione del romanzo picaresco, specie per quanto riguarda la giovane età del protagonista, la famiglia non esemplare (ma certo non ai livelli dei picari spagnoli), le beffe che compaiono in vari momenti e la serialità della narrazione; tuttavia rispetto a quella particolare forma romanzesca (che Celati sfrutterà per Lunario del paradiso) è assente il continuo spostarsi da un luogo all'altro e meno marcata è la crescita interiore del personaggio principale. La vita di Garibaldi (o quella che lui racconta almeno) verte soprattutto nel partecipare all'esistenza folle e comica della sua famiglia, dove tutti sospirano malinconicamente lamentando i propri fallimenti mentre lui è costretto a sospirare dentro di sé, in attesa che prima o poi si interrompano gli spettacoli di questo teatro di pazzia corporale. Una vita, quindi, che poco o nulla ha di esemplare, e che proprio nel suo essere comune a tutti trova la sua ragion d'essere. Del resto lo stesso romanzo è stato pensato in antitesi ai "grandi romanzi monumentali" e alle loro interpretazioni assolute, per avvicinarsi, come dice l'autore stesso nel risvolto della prima edizione, al racconto comune che "nasce dalla casualità e dalla ripetitività quotidiana" e che dunque "non può essere portatore di grandi visioni tragiche o consolatorie. E un'indiscrezione locale, una violazione d'omertà, un modo di far parlare il corpo matto".