Recensioni / Per capire il Genio non basta il cervello

Quando Einstein morì il suo corpo fu cremato e le ceneri disperse. Ma il medico incaricato dell'autopsia nascose il re degli organi. Voleva studiarlo e svelare i segreti della mente

L'intenzione scientifica, al di là del furto compiuto, era lodevole. Ma i risultati di tutti gli esami cui quella preziosa materia grigia fu sottoposta portarono a risultati assai scarsi o contraddittori. Un libro di Antonio Castronuovo racconta di questa e altre illustri "reliquie" lasciate da Mozart, Galilei, Beethoven, Lenin

Dici genio e subito pensi ad Einstein, che di questa categoria è sicuramente il portabandiera. Poi, in seconda battuta, viene spontanea la domanda: geni si nasce o geni si diventa? Mah, mica è facile rispondere a un quesito del genere però, come si dice, si continua a indagare sperando di venire a capo di questa spinosa questione. E se oggi parliamo di geni è perché siamo stati stuzzicati da un intrigante libro di Antonio Castronuovo (Ossa, cervelli, mummie e capelli, Quodlibet, pp. 190, € 15) che si apre con un capitolo dedicato proprio al cervello di Einstein.

Il padre della relatività morì a Princeton il 18 aprile del 1955 all'età di settantasei anni e il suo corpo venne cremato e le ceneri disperse. Prima della cremazione, però, fu effettuata l'autopsia, affidata al patologo Thomas Stoltz Harvey dell'ospedale di Princeton. Trovarsi di fronte al corpo senza vita di chi aveva rivoluzionato la fisica fu per il patologo una grandissima emozione e il pensiero che sarebbe staro trasformato in cenere gli indusse il pensiero malandrino di conservare il cervello, un "documento" importantissimo per cercare di arrivare a comprendere la genialità di Einstein. Dopo aver consegnato la salma ai parenti, Harvey si mise subito al lavoro. Innanzitutto mise sulla bilancia quella preziosa massa di materia grigia e scoprì una curiosa anomalia. Pesava, infatti, 1230 grammi, di poco inferiore alla media il che prova, scrive Casuonuovo, «che non esiste correlazione tra grandezza del cervello e livello di intelligenza». Poi, dopo aver scattato numerose fotografie, convocò una conferenza stampa per annunciare al mondo intero che aveva risparmiato il cervello per studiarlo e soprattutto per cercare di capire i segreti della genialità. Una intenzione lodevole, senza dubbio, che però fece imbestialire i familiari di Einstein che accusarono il patologo di essere un volgare ladro.

Alla fine si pervenne a un accordo. I familiari avrebbero messo una pietra sopra alla questione a patto però che il cervello fosse usato per scopi esclusivamente scientifici. A questo punto si fece avanti la direzione sanitaria dell'ospedale di Princeton che pretese da Harvey la restituzione del cervello. Harvey però rispose picche e il rifiuto gli costò la sospensione dal servizio. Assalito da un senso di colpa per quanto aveva combinato, Harvey decise di rendere il prezioso cervello non prima però di averlo ridotto a fettine, circa duecento, buona parte delle quali vennero consegnate a Harry Zimmerman, il medico di Einstein. Il resto lo tenne per sé, conservato in casa propria dentro a un paio di barattoli sotto formalina. Nel frattempo Harvey aveva elargito fettine a quanti ne facevano richiesta e finalmente nel 1997 decise di consegnare il resto del cervello alla nipote di Einstein, che però non ne volle sapere. E cosl Harvey decise di riconsegnare quei preziosi resti a Elliot Krauss, il nuovo patologo di Princeton. Dagli studi delle fettine emersero le conclusioni più disparate che Castronuovo elenca minuziosamente.

Secondo le ultime news gli astrociti (cellule del sistema nervoso centrale) di Einstein sarebbero più grandi del normale ma nel cervello sarebbero presenti anche «caratteri che nell'insieme stabiliscono alcune similitudini con il morbo di Alzheimer». Altri studi misero in evidenza segni di autismo. Morale della favola, conclude Castronuovo, «la genialità doveva giungere da altre parti, visto che quel cervello presentava anche caratteri patologici». Le origini della genialità, dunque, restano avvolte nel mistero.

Se il cervello di Einstein era piccolo, quello di Mozart, invece, era speciale. La capacità cranica del "genio della musica" era infatti di 1585 centimetri cubi, molto superiore alla media. E se oggi possiamo fare questi calcoli lo dobbiamo a Joseph Rorhmayer, un becchino del cimitero viennese di San Marco che prima di gettare le salme nella fossa comune pensò di legare un fil di ferro attorno al collo di Mozart. E molti anni dopo, come racconta Castronuovo, quando si passò alla riesumazione, lo stesso becchino riconobbe il fil di ferro e si tenne il teschio che poi passò di mano in mano fino alla sua definitiva destinazione a Salisburgo. Ma anche in questo caso non mancano gli aspetti misteriosi. Nel libro si incontrano anche Galilei, Beethoven, Lenin e molti altri. Storie di "reliquie" illustri, raccontate con garbo e brio da Castronuovo, che è medico e appassionato di curiosità e che sicuramente contagerà il lettore.

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