Recensioni / "Imperium", confessioni di Carl Schmitt

Nel 1971 Carl Schmitt fu intervistato dallo storico Dieter Groh e dal giornalista Klaus Figge. Tale intervista (radiofonica) è stata trascritta dai nastri e tradotta per la prima volta in italiano nel libro Carl Schmitt, Imperium, Quodlibet (Macerata 2015 pp. 292, 26 euro). Dato il tema e l’occasione il libro ha un valore prevalentemente storico e biografico; per il lettore dei saggi del giurista di Plettenberg questo taglio presenta comunque anche qualche interesse “sistematico” e, soprattutto, è utile a comprendere il rapporto tra il percorso di vita (e storia) di Schmitt e alcune delle sue tesi esposte nelle opere più note. Una consistente parte dell’intervista è dedicata alla presa del potere di Hitler ed alle altre figure principali di quel frangente; Hindenburg, von Papen, Schleicher. Ed ai rapporti che Schmitt ebbe con questi. Nel rileggerlo il pensiero va ai saggi “Il custode della Costituzione” e “Legalità e legittimità” come alla Verfassungslehre. È interessante sapere che Schmitt studiò giurisprudenza, per il consiglio di un ricco zio lorenese che appreso che avrebbe voluto studiare filologia lo dissuase dicendo che questa era “una ben misera occupazione… Ti do un buon consiglio: studia giurisprudenza!”. E, facendo la fila per l’immatricolazione all’Università Humboldt, ricordò: “Ho ancora davanti agli occhi quei cartelli con scritto: Facoltà di Giurisprudenza e Facoltà di Filosofia... mi fermai per un momento a riflettere, perché stavo ancora pensando a quello che mio zio André, così si chiamava, mi aveva detto a Rombach, e poi andai alla Facoltà di Giurisprudenza. Come primo corso ho seguito quello di Kohler, scoprendo così quanto potesse essere interessante questa facoltà”. Non fu dunque frutto di una profonda riflessione... Ascoltandolo, qualcuno dei miei persecutori forse dirà: “Quale disgrazia ci sarebbe stata risparmiata se all’epoca si fosse messo in un’altra fila! Vedete, è così che si svolge la storia del mondo”. È gustoso il racconto che fa Schmitt del discorso dallo stesso tenuto per l’anniversario della fondazione del Secondo Reich presso l’Istituto universitario per il Commercio: “Ero stato chiamato alla cattedra di quell’istituto che prima era stata di Hugo Preuß e di Schücking – era la cattedra più bella, perciò ebbi automaticamente come nemici mortali i professori ordinari di diritto pubblico all’Università di Berlino”. Dopo il discorso, tenuto alla presenza di André François-Poncet, allora ambasciatore di Francia, il commento dei colleghi era malevolo. “All’università correvano queste voci rabbiose, perché era impensabile consentire a chicchessia di parlare in quel modo, Dio mio… dalla cattedra di Hugo Preuß… Dopodiché ci fu un filosofo, pure lui professore all’Istituto universitario per il Commercio, Arthur Liebert, curatore della rivista Kant-Studien, che disse: è un discorso ontologico quello che fate. E così si diffuse con la rapidità del vento questa espressione: “ontologico”. Data la situazione, un filosofo esperto avrebbe forse inteso questo termine, come un grosso complimento. Ma tra giovani praticanti del positivismo giuridico, che a malapena ne conoscevano il significato, tale espressione poteva al massimo suonare come un’ingiuria”. Un ricco ed accurato apparato di note correda il libro.