Recensioni / I profughi attuali di Arno Schmitd

Come sempre accade in presenza di generalizzazioni e – più o meno strumentali – approssimazioni terminologiche, sarebbe importante spendere le mezzore passate davanti a qualche berciante talk-show politico a darsi piuttosto una ripassata alla storia recente.

Si capirebbe con facilità, ad esempio, come il concetto di “profugo”, che l’opinione pubblica tende facilmente a associare a persone di altre latitudini spinte (un po’ furbescamente, magari, sai mai che non stessero così male sotto le bombe o le violenze…), sia stato lungo il '900 assai più vicino alle linde geografie che oggi accolgono (o respingono) chi è spinto a muoversi dalle sue terre verso l’Europa.

Non sto dando dell’ignorante a nessuno, eh.

Io stesso, che sì, essendo veneziano conosco bene famiglie di ex profughi istriani ad esempio, mi sono accorto non troppo tempo fa con una certa vergogna di quanto poco si sa di certi massicci esodi in Europa di persone costrette a lasciare le proprie case e a reiventare la propria vita. Ero a Wroclaw/Breslavia (Polonia) per lavoro e mi ero aggregato a un breve tour guidato della città, nel quale la guida ha raccontato di come, al termine della Seconda Guerra Mondiale, milioni di tedeschi furono costretti a fuggire dalla Polonia verso ovest.

Perché vi racconto questo? Perché voglio parlarvi del libro I profughi(Quodlibet, pp. 160, 16€) dell’incredibile scrittore tedesco Arno Schmidt e nel libro si parla proprio di questo, di uno scrittore/traduttore e di una giovane vedova senza un piede che si incontrano sul treno che li porterà verso un primo, provvisorio, reinsediamento. Il libro è del 1953 ed è ampiamente autobiografico (al posto della giovane vedova in realtà c’era la moglie di Schmidt, Alice) e viene tradotto solo ora in Italia, dove lo scrittore – sebbene riconosciuto come uno dei più originali e rappresentativi del Novecento in lingua tedesca – ha avuto un apprezzamento tardivo (qui una rapida ricostruzione delle sventure editoriali di Schmidt) e la sua produzione è divisa tra varie case editrici (Zandonai, Einaudi, Lavieri, Mimesis…).

Non è una scrittura facile, quella di Schmidt. È una prosa originalissima, ricca di note, rimandi, gerghi, accostamenti incongrui, fratture, asperità, è complicata e asciutta al tempo stesso. Eppure ogni volta (di lui avevo già letto Paesaggio lacustre con Pocahontas, Dalla vita di un fauno, Alessandro e Specchi neri) è una meraviglia quasi stordente.

Nei rapidi capitoli di questo lavoro (che lui stesso definì “svelto”, in quanto mosso dalla necessità di descrivere, senza intenti accusatori) le immagine vivide del viaggio in treno – con tutti suoi disagi e le diffidenze – dell’arrivo nel paese dove saranno ospitati e dell’insediamento nella piccola mansarda (coppia non sposata e quindi vista con sospetto, coppia che urla un amore fisico e tenerissimo dalla prima all’ultima pagina, ma di matrimonio non parliamone che per lei perdere il sussidio di vedova sarebbe un dramma…) sono contrappuntate di parole poetiche e buffe, tragiche e durissime, ingraffettate da foto, innervate da una volontà di andare avanti, di vivere e viversi nonostante tutti gli orrori e le difficoltà.

Al di là della faticosa bellezza che emerge dalle pagine di I profughi (il libro è curato in modo splendido da Dario Borso), più volte durante la lettura ho pensato alle tante persone che in questi mesi (in questi anni) sono in un cammino senza certezze in qualche pullman, su qualche gommone, trafitti dall’odio e dalla diffidenza di chi incontrano, talvolta rassicurati per poco dall’accoglienza di persone più aperte o organizzate. Ho pensato alle complicità che nascono, agli amori, ai fastidi, eppure alla voglia di vita che devono avere, una voglia un po’ cinica e ferita, che magari non trova in parole così straordinarie come quelle di Schmidt il modo di manifestarsi, ma che non merita nemmeno di venire soffocata nel sacchetto dei luoghi comuni.

Leggetelo Arno Schmitd, comunque. (Si impara anche a rallentare, che va sempre bene).