Recensioni / Come ti disegno le figure retoriche

Intervista a Cecilia Campironi, scrittrice al suo esordio per Quodlibet con Che figura!, un libro che gioca con parole e disegni per insegnare la grammatica ai più piccoli, ma non solo. Divertendo.

Far divertire insegnando. È questa la missione di Cecilia Campironi, scrittrice al suo esordio per Quodlibet con Che figura!, un libro originale e sui generis, pensato per i più piccoli ma adatto a tutti quelli che amano «giocare con le parole».

Disegnatrice, diplomata all’Istituto Europeo di design, attraverso (anche) le illustrazioni ci accompagna nell’intricato mondo delle figure retoriche.

L’idea? Rendere divertente una serie di regole grammaticali che al liceo gran parte di noi detestava. «Abbinare concetti e immagini è un metodo di apprendimento immediato» e vincente, tanto che sta per diventare un progetto scolastico abbinato alla manifestazione milanese Bookcity, e una serie di libri. Tutti a tema grammaticale.

DOMANDA: Che figura! è un libro fuori dal comune. Come è nato?

RISPOSTA: L’idea arriva dal mio passato: ho frequentato il liceo classico e le figure retoriche mi sono sempre rimaste particolarmente impresse. Anche per la difficoltà di memorizzazione. Così, appena finito il percorso di studi come disegnatrice, è arrivato questo libro, legato strettamente a una mission: trasformare in divertente qualcosa di profondamente noioso. L’abbinamento con i disegni è venuto subito dopo.

D: In che modo le sue illustrazioni si legano alle figure retoriche e alle storie?

R: Attraverso i tratti somatici del personaggio che va a rappresentare la litote, piuttosto che l’ossimoro. Le caratteristiche grammaticali della figura retorica diventano caratteristiche fisiche e il gioco è fatto. Così il processo d’apprendimento è più immediato e più vicino a linguaggio dei bambini.

D: Possiamo quindi parlare del suo libro come uno strumento d’insegnamento?

R: Io ho voluto trasmettere un qualcosa di molto meno nobile, un’idea divertente. Mi è sempre piaciuto giocare con le parole. Trasformare le parti più difficili della nostra lingua in qualcosa di giocoso e facile può semplicemente rimanere un gioco.

D: Parteciperà anche a Bookcity.

R: Sì, la casa editrice ha sempre creduto più di me in questo aspetto del libro, quello dello strumento di divulgazione. Dopo la pubblicazione molti insegnanti si sono interessati a noi e a settembre, durante l’evento milanese Bookcity prenderò parte a una serie di eventi presso le scuole. Si tratta di laboratori legati alla manifestazione ma dislocati in altre aree della città. Io per adesso sarò in tre scuole medie, ma il calendario è ancora da definire.

D: In cosa consisterà il suo lavoro?

R: Lavorerò di concerto con l’insegnante per adeguare il mio «metodo di apprendimento» alle necessità dei bambini. Non c’è un copione scritto, dipende tutto dal materiale umano che avrò davanti a me. Ogni bambino è diverso.

D: Ha altri progetti in cantiere?

R: Moltissimi e diversi tra di loro, alcuni aspettano da diverso tempo. Che figura! era il più particolare e mi piacerebbe continuare su questo filone, lavorando ancora sul rapporto tra immagini e parole.

D: Lei nasce illustratrice, la sua passione è il disegno. Come si sente nelle vesti di scrittrice?

R: Tengo molto a dire che questo non è il mio lavoro, non ho studiato per scrivere e non mi paragonerei mai a chi lo scrittore lo fa di professione. Ma pensare alle storie contenute nei miei libri mi diverte molto, è come se nascessero nella mia testa dei piccoli mondi. Mondi però che, soprattutto nei prossimi progetti, non saranno messi in parole da me.

D: Se dovesse consigliare una lettura per bambini per l’estate?

R: Sceglierei gli autori che leggevo io stessa, Roald Dahl su tutti. Per molto tempo è stato snobbato dalle grandi catene di librerie, ma ultimamente ho visto numerose riedizioni dei suoi capolavori, dalla «Fabbrica di Cioccolato» al «GGG» ( che in autunno sbarcherà al cinema per la regia di Steven Spielberg, ndr). Se invece volessimo avventurarci nel mondo dei più piccoli, ci sono infinite possibilità; uno dei miei preferiti resta però «La voce dei colori» di Jimmy Liao.