Recensioni / Un mondo giocattolo dalle dimensioni sovrumane

A spasso nel nulla. Giorgio Vasta, scrittore, e Ramak Fazel, fotografo, viaggiano nel deserto americano. La ricerca non ha destinazione, ma ha di certo un obiettivo (Houston), in un libro felice e reale

Il nulla è facilmente comprensibile, basta non inoltrarvisi troppo perché il rischio che le soluzioni si confondano con i problemi è decisamente alto e in tal caso nessun movimento sarà più in grado di definire più una qualche possibile direzione. Absolutely Nothing. Storie di sparizioni nei deserti americani è una guida narrativa e fotografica verso il nulla, un viaggio che con la scusa dei deserti americani risveglia anche il lettore più sprovveduto dall’immaginario tipico e usurato di un Paese tutto orizzonti, spazi infiniti, cartelli luminosi e grossi pick up. Tutto questo tuttavia c’è, ma in una forma totalmente imprevedibile, perché in Aboslutely Nothing l’immaginazione è l’ancora della realtà, perché nessuna organizzazione è possibile quando il vento sale e la polvere dà forma al nulla. Giorgio Vasta interpreta il proprio ruolo di narratore con abile e mimetica ostinazione: il nulla per lui è l’interpretazione che ne danno i suoi compagni di viaggio, l’imprevedibile che scaturisce dal loro per certi versi perpetuo agire. Tre persone dunque o meglio due autori, Giorgio Vasta, scrittore e Ramak Fazel, fotografo e poi una donna, senza nome. Di lei sappiamo solo il cognome e la funzione, lei è l’editrice del libro e di professione fa la fotografa: lei dei tre è quella organizzata. Tuttavia sarà proprio lei ad assolvere pienamente il ruolo di personaggio, di vero e proprio inconsapevole trickster . Organizzata, puntuale e ordinata fino alla nevrosi sarà lei a dare corpo al vuoto emotivo, a una mancanza comune, a un desiderio disorientato che miglio dopo miglio prenderà sempre più spazio nel viaggio. Una mancanza che assumerà il nome affettuoso delle comuni debolezze, degli spazi emotivi obbligatoriamente limitati al confronto con l’infinito paesaggio, con l’inesorabile destino di un mondo giocattolo dalle dimensioni sovrumane. Un orizzonte ingestibile anche per la mente più organizzata, anche per la mente più disorganizzata. Giorgio Vasta appunta ogni incontro, ogni espressione del viso o del tono di voce, racconta e analizza, ricorda per certi versi Holly Martins, lo scrittore di romanzi gialli protagonista del capolavoro di Carol Reed Il terzo uomo . Certo, qui l’ambientazione è totalmente opposta, ma non per questo distante. All’oblio perpetuo del buio delle vie di Vienna, Vasta oppone l’oblio della luce e della polvere bianca delle strade, delle case, dei vetri, del tutto che è il deserto americano. La ricerca non ha destinazione, ma ha di certo un obiettivo, Houston e poi si torna a casa. Non sono previsti cambi di programma o variazioni, non è previsto “aggirarsi”, ma soltanto procedere. Il punto è che procedere è impossibile almeno quanto pensare di aggirarsi e tantomeno di gironzolare. E il risultato è molto simile a un’indagine che però non preveda colpevole e movente. Il terzo uomo sfugge di continuo anche se la sensazione è che spesso sia una donna, l’editrice senza nome o le ombre che di tanto in tanto disegnano i ricordi che tornano a galla dal passato di Vasta come di Fazel. Il reportage fotografico di Ramak Fazel chiude il libro come una collezione di indizi in cui il segno del tempo non prende la forma del ricordo, ma dell’assenza. Le cose sono sempre più simili a come sono ora che a come sono state. La nostalgia non appartiene a questo viaggio in cui ogni elemento è composto da un’ossessiva ricerca del presente, di un contemporaneo inattuale e quindi permanente. Non c’è coraggio, non c’è epica, l’avventura è quasi sempre figlia dell’inadeguatezza, la paura è solo perplessità. Giorgio Vasta scrive ad ora il suo libro migliore, felice e reale, contemporaneo e affettuoso. La forza delle sue parole è la loro totale mimesi, l’assenza di compiacimento, ma senza mai derogare da una presenza, da una fisicità di un racconto di viaggio emotivo eppure disincantato. Persi, ma presenti i tre compagni di viaggio si guardano con la diffidenza a tratti ostile e a tratti affettuosa del primo giorno di scuola. Giocano con il nulla rischiando tutto.

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