Recensioni / Immaginate di abitare nella Statua della Libertà

È uno dei progetti poetici dell'ungherese Yona Friedman, urbanista e molto altro, da riscoprire in due mostre, a Parigi e Londra, e in un testo voluminoso

Yona Friedman è impossibile da classificare. Al punto che per comprendere la sua opera è necessario abdicare ai nostri comuni canoni. Questo ragazzo ultranovantenne (è nato in Ungheria nel 1923) tocca con grazia tutti i suoi interessi: urbanistica, architettura, antropologia, fisica, mitologia. Al tempo stesso Friedman porta con sé il rumore del tempo. Il suo, quel Novecento che l'ha attraversato con furore tutt'altro che eroico. E per saggiare la ricchezza della sua opera si può visitare la mostra che gli dedica la Cité de l'Architecture di Parigi, appena inaugurata e aperta sino al 7 novembre. Oppure si può andare a vedere il Summer Pavillon della galleria londinese Serpentine, che sarà inaugurato il prossimo 10 giugno (fino al 9 ottobre) con l'installazione delle strutture modulari di Friedman. Infine un librone, appena uscito, che raccoglie l'intero percorso della sua opera, compreso il primo, minuzioso trattato monografico a firma del nostro storico dell'architettura Manuel Orazi (Yona Friedman. The Dilution of Architecture, a cura di Nader Seraj, Park Books, Zurigo). Insomma, è il momento giusto per occuparsi delle sue idee. Come le città immaginarie, protagoniste della mostra parigina: città poetiche ridisegnate attraverso la fantasia (si possono vedere nel catalogo Villes imaginaires, uscito in coedizione L'éclat-Quodlibet). È un po' il pallino di Friedman, quello del crearsi autonomamente un proprio ordine spaziale. Lo ha fatto negli anni Cinquanta, quando presentò il suo «manifesto per un'architettura mobile» – una messa in discussione del carattere pianificatorio della progettazione per uno più aperto alle trasformazioni sociali. Poi negli Stati Uniti, dove ha insegnato per decenni e ha sviluppato al Mit (chiamato da Nicholas Negroponte) il progetto Architecture-by-Yourself. Infine l'incarico all'Unesco, che gli ha permesso di viaggiare e lavorare nei Paesi più poveri del mondo – per esempio in India, dove ha disegnato una fortunatissima serie di fumetti, semplici e immediati, su come si fa un tetto e altre cose pratiche. Piacquero così tanto a Indira Gandhi che il governo ne stampò milioni e milioni di copie. Friedman rimane un curioso personaggio: eclettico, visionario, provocatorio. Un concreto utopista o meglio, come recita il titolo del suo libro più bello e importante, un costruttore di «utopie realizzabili».