Recensioni / La recente riedizione del Manifesto del Terzo Paesaggio

La nozione di Terzo Paesaggio ha compiuto ormai dieci anni. Il terzo paesaggio comprende quelle aree abbandonate, un tempo urbanizzate, che sono ora aree marginali o rifugi per la biodiversità, dove non è più evidente un ordine antropico, ma solo un'ineluttabile evoluzione naturale. Il botanico, ingegnere e filosofo Gilles Clément ha sempre dichiarato che il suo approccio riguarda la vita e non la forma. Il terzo paesaggio consente di accogliere una logica – e una estetica – che, esaltando la natura, si riappropria degli spazi abbandonati, riponendo nei frammenti insignificanti, la più grande ricchezza biologica. Ma la validità, ma anche il punto debole, di questa posizione teorica risiede proprio nella marginalità di questi spazi. Per la necessità di favorirne la dinamica del lasciar fare alla natura, il terzo paesaggio ha conseguito, nel tempo, una dimensione sempre più politica. Si è in presenza di un'idea di bene comune (culturale e forse anche museale): la natura, come la cultura, possiede un proprio valore intrinseco e intangibile e la salvaguardia di lacerti di libertà dovrebbe allontanare la folle antropomorfizzazione di ogni cosa. Dal punto di vista critico, dopo dieci anni, il Manifesto è sempre più una bandiera, con un intento filosofico fondato sulla dinamica della natura originaria versus il paesaggio collegato all`operare umano e alla sua storia.

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