Recensioni / Umorismo involontario

Si ha umorismo involontario quando uno vuol fare o crede di fare una cosa seria e, invece, o per errore, o per sbadataggine, o per ignoranza, o per caso, fa una cosa comica. E in questa definizione di Achille Campanile, che Paolo Albani riporta nel suo ultimo libro Umorismo involontario, il trucco che mi ha permesso di sorridere e anche apertamente ridere e godere della vis comica di gaffe ed errori vari, ho sempre avuto poca attitudine al riso per barzellette, scherzi e burle in cui tendo sempre a cogliere l’acida cattiveria e i tratti di interiore ostilità che li sottendono. Attraversare gli inimmaginabili campi in cui si esprime la involontarietà dell’umorismo mi è apparso divertente ed anche, in molte occasioni narrate, fonte di riflessioni amare sull’umanità e sulla sua intelligenza non sempre pronta. Fra la grande mole di argomenti e scritti e discorsi e categorie impensabili, come quella dei testamenti bislacchi, che Albani ci prospetta in una esauriente analisi del far ridere involontariamente, direi che preferisco, pare come molti altri dice lui, la ingenua freschezza e la fantasia sfrenata dei bambini, gli svarioni degli studenti che non studiano e infine le bislaccherie dovute ad una atavica ed inconsapevole ignoranza di base ed una specie di desiderio di dimostrarne l’inesistenza attraverso l’uso di parole chic e paroloni. A questa ultima categoria si assimilano gli errori dei pazienti nel parlare di mali e malanni. Albani cita molte pubblicazioni che raccolgono esempi di ciascuna di queste categorie. Io ho riso come una matta nel leggere, autore un ignoto bambino, “gli uccelli ci cacano in testa per vendicarsi dell’effetto serra”, e anche “gli indiani adorano la vacca perché intralcia il traffico”, uno studente che risponde alla domanda “chi sciacquava i panni in Arno?” “Forse la mamma di Dante”!!!, un genio direi, già più banale leopardare come Infinito di Leopardi. Non male “saluti dalle pernici del Monte Bianco” e “da un occhio ci vedo male sono preside” ed anche “Dottore, mio marito ne ha sempre una. Perché, vede, lui sodomizza molto” e ancora “di ogni dolorino fa uno psicogramma”.
Gli errori e i refusi dovuti al T9 sono nell’esperienza di tutti, così come i lapsus nello scrivere e soprattutto nel parlare, però a mio parere meno creativi ed interessanti. Le papere di Mike Bongiorno, per me che non ho guardato mai la tv, nuove e simpatiche “ma chi sarà questo signor Paolo Vi del quale non ho mai sentito parlare?” (Rischiatutto, leggendo una domanda su Paolo VI). Le amare riflessioni mi vengono suscitate dall’apprendere che interi libri sono stati dedicati a raccogliere lo stupidario e le gaffe di W. Bush, per anni Presidente degli Stati Uniti, così come trovare qui e giustamente, come, ora, fonte di involontario umorismo, la mimica, mento protruso, occhiacci, petto in fuori e mani ai fianchi, e il linguaggio retorico ed altisonante di Mussolini. Per venti anni non ha fatto ridere nessuno, i più lo hanno preso sul serio e chi ha saputo vedere l’aspetto assurdo ed iniquo, se non comico, della sua loquela ne ha pagato duramente il fio. Cito “Non siamo cortigiani né verso il basso né verso l alto”, ancora “fra tutte le nazioni del mondo l’Italia è la più nettamente individuata, da tutti i punti di vista. I suoi connotati sono categorici”. Intriga poi scoprire che alcuni scrittori, a me del tutto ignoti in verità, sono maestri di strafalcioni e assurdità tipo “Ah! Ah! Fece egli in portoghese” e che anche il ben noto Baricco scrive una cosa tipo “la strada scivolava in salita con la freddezza di un serpente”. Albani, ancora una volta, offre un esauriente disanima di un bislacco argomento, molto piacevole e divertente.