Recensioni / I profughi

Arno Schmidt (1914-1979) è scrittore per pochi, scrive in modo ardito originale potente, non segue le regole canoniche della bella prosa e della futile narrazione, sintetizza, dilata, ribatte, allude, cita, spezza, inventa, sconcerta. Rifiuta ogni banalità e propone una lingua tesa e ironica in grado di dire con distacco la crudeltà e la stupidità degli umani, dal fondo di una cultura sterminata, antica. Arno Schmidt è uno dei grandi del Novecento, e lo conferma questo breve romanzo sinora inedito da noi, cui l'ottimo Dario Borso ha aggiunto spiegazioni adeguate (tradurre Schmidt non è da tutti!). Come nel Leviatano, la scena è la guerra e la sua fine, e qui il dopo, quando le popolazioni tedesche a est dell'Oder vengono spedite in massa verso il Reno dalle nuove spartizioni dell'Europa, un esodo in cui è coinvolto l'autore dopo aver fatto "sei anni al fronte, prigioniero di guerra in più". È questo il viaggio che Schmidt narra, e l'incontro con una compagna occasionale che diventa presto molto importante. Katrin è una giovane vedova che ha una protesi al posto di un piede, su fino al polpaccio. Entrambi ne hanno viste e subite tante, eppure reagiscono con vitale insistenza alla pesantezza della storia, scettici e mordaci, resistenti. In questa specie di deportazione massiccia, una delle tante del dopoguerra in un'Europa dai confini da ridefinire e in cui il rapporto tra popolo e nazione, popolo lingua territorio, è sempre stato fragile, le "avventure" sono minime e dipendenti dalla scarsità e dalla politica. Alla fine del viaggio, contenti del basso prezzo delle patate, "ci guardammo ridendo, povera specie degenere, coppietta senza pescaggio. (...) Così viviamo per il momento insieme; come andrà poi, non lo so ancora." Di questo scrittore appassionante sono forse ancora reperibili presso Einaudi i bellissimi racconti compresi in Alessandro o della verità.