Recensioni / La bella Milano di Tessa e quei modi di dire in dialetto

Vi è finalmente dell'attenzione da parte di qualche casa editrice per Delio Tessa, poeta e scrittore milanese, quello de "L'è el di di mora, alegher", l'ultimo dei grandi, di sicuro il più attuale, vati del dialetto meneghino. E siccome nell'editoria accadono cose strane, ecco in libreria ho trovato La bella Milano di Delio Tessa, stupenda opera in cui in questo caso lo scrittore racconta della sua Milano, pubblicato alla fine dell'anno scorso nientemeno che da una casa editrice di Macerata. La davvero meritevole "Quodlibet Compagnia Extra". Si tratta di una lunga serie di racconti con i quali l'autore entra di soppiatto nella vita popolare e piccolo borghese della città dei primi anni del secolo scorso rilevando con grande ironia candori e maldicenze, onestà e piccole miserie morali, storie assurde e gesti generosi. Carica di emozioni è anche la sequenza dei modi di dire in dialetto nelle conversazioni, sotto gli androni, e negli spazi comuni delle portinerie dove qualcuno la sera "va a leggere per risparmiare la luce in casa". Ecco che, subito nelle prime pagine, per illustrare una situa: ione di crisi economica stabile, proprio come avviene nei giorni nostri, un medico oculista che vede la clientela ridursi ogni giorno di più, si lamenta con il portinaio: «Temp magher, se sa nò come fa a taccà su el caldar". Per l'oculista i tempi sono magri, di miseria e non si sa più come appendere la pentola al camino. Ovvero: "Non più niente dafar cuocere per mangiare" Il modo di dire che sta nella metafona dialettale del Tessa andrebbe benissimo anche in questi giorni. Sarebbe di certo molto più colorito di quel "Non si sa come fare per tirare la fine del mese" che ricorre fino all'ossessione nella "parlata" dei politici: sui giornali, soprattutto alla televisione. E importante rilevare come nel dialetto milanese il termine "caldar" (sostantivo maschile) è, come dice il Cherubini nel suo dizionario, il vaso da cucina in rame, più genericamente la pentola, o la pignatta. Non è quindi come si potrebbe fraintendere la "caldaia", ovvero la macchina che produce il vapore.