Recensioni / Le gaffes di stile

Analizzando "L'umorismo involontario", Paolo Albani racconta errori, assurdità, cadute di senso nella storia sociale e letteraria. Da Mike Bongiorno a Bush, passando per Rocambole

Nel suo Trattato delle barzellette, pubblicato nel 1961, Achille Campanile dedica un intero capitolo all’umorismo involontario. Campanile spiega che esso si manifesta, con effetti spesso esilaranti, «quando uno vuol fare o crede di fare una cosa seria e invece, o per errore, o per sbadataggine, o per ignoranza, o per caso, fa una cosa comica». Non c’è dubbio che di umorismo involontario sono piene le nostre giornate. O come spettatori, o in quanto protagonisti, ci troviamo spesso alle prese con una comicità per varie ragioni evitabile e comunque imprevista. La presenza di atti che, malgrado la volontà di chi li compie, sfociano nella risata, è dunque piuttosto consistente nelle nostre vite, ma i saggi dedicati all’umorismo non considerano, se non marginalmente, questo particolare tipo di manifestazione comica.
Per rimediare a questa carenza, Paolo Albani ha scritto quella che lui stesso definisce “piccola antologia di gustose stupidaggini non volute”. Il libro Umorismo involontario è pubblicato da Quodlibet e si presenta come una carrellata in ordine alfabetico, e con scientifica documentazione delle fonti, di situazioni in cui l’umorismo, secondo quanto scrive l’autore nell’introduzione, si svela come «frutto di una ricreazione non voluta (inconscia, scomodando Freud) della nostra mente». Da questa forma di “ricreazione” nessuno può dirsi immune, tanto che possiamo parlare di una democrazia della comicità, «dato che può colpire implacabilmente qualsiasi individuo, in modo indistinto (è sufficiente una piccola distrazione), tanto che non è azzardato supporre che, una o più volte nella vita, tutti ne siamo rimaste vittime».
Non sono dispensati da possibili scivoloni anche gli scrittori di successo. È il caso, ad esempio di Pierre-Alexis Ponson du Terrail, autore del popolare ciclo di romanzi di Rocambole. Ponson du Terrail, evidentemente a causa della velocità con cui era costretto a scrivere le proprie opere, di tanto in tanto si produce in accidentali spropositi dall’effetto sicuramente esilarante, del tipo: «Egli passeggiava su e giù per il giardino con le mani dietro la schiena, leggendo tranquillamente il giornale», «Con la mano destra afferrò il pilota, con la mano sinistra strinse a sé la fanciulla, e con l’altra chiamò al soccorso!», o ancora «Odo il passo di un mulo… È il mio amante», e infine la perla «Ah! Ah! – fece egli in portoghese».
Particolarmente gustosi sono anche i giudizi critici di rara lungimiranza, che non escludono nessuna forma di arte. Scrive il critico letterario Eugène Poitou a sei anni dalla morte di Balzac, sulla «Revue des deux Mondes»: «Nei suoi romanzi non c’è niente che riveli particolari doti immaginative, né la trama, né i personaggi. Balzac non occuperà mai un posto di rilievo nella storia della letteratura francese». Appunto.
Paolo Albani, che è poeta visivo e performer, membro dell’OpLePo (Opificio di Letteratura Potenziale), direttore di «Techne», “rivista di bizzarrie letterarie e non” e dichiara di ricoprire la cattedra di Letteratura Fantastica presso la Facoltà di Scienze Inutili di Barcellona, non è nuovo ad imprese del genere. Già nel 1994 aveva pubblicato per Zanichelli Aga Magéra Difùra. Dizionario delle lingua immaginarie, e poi, fedele in qualche modo alla forma del dizionario e dell’elenco, Forse Queneau. Enciclopedia delle scienze anomale e Mirabilia. Catalogo ragionato dei libri introvabili, entrambi per Zanichelli, rispettivamente nel 1999 e nel 2003, fino ad arrivare ai più recenti volumi, apparsi nelle edizioni Quodlibet, Dizionario degli istituti anomali del mondo (2009) e I mattoidi italiani (2012).
Umorismo involontario è un libro godibile, una collezione ragionata di gaffes (quelle di Bush e Mike Bongiorno campeggiano su tutte), errori, fatali imprudenze e ruzzoloni di vario genere, che vanta un antenato illustre nel Dizionario dei luoghi comuni di Flaubert e che rende esplicita l’idea di Manganelli che la scrittura letteraria dovrebbe sempre essere provocatoria, disubbidiente e beffarda. E beffardo è quello che Paolo Albani scrive, provocatorio e disubbidiente, fino a coniugare a proprio modo, stravolgendola, la massima di Talleyrand, inserita proprio nel dizionario di Flaubert alla voce “Errore”: «È peggio di un delitto, è un errore».