La venerazione non è prerogativa di anime pie e religiosi. Del resto capita che anche le reliquie siano esse stesse “laiche”, pezzi organici di uomini certo non comuni che assurgono, spesso nolenti, al rango di feticcio. Con una narrazione ironica, piacevole, e a tratti impertinente, lo scrittore Antonio Castronuovo stila il suo godibile reliquiario completamente “secolare” nel libro Ossa, cervelli, mummie e capelli uscito la scorsa primavera.
Facendosi guida del più grottesco museo anatomico del pianeta, Castronuovo conduce il lettore fra brandelli di corpi preservati dal disfacimento che raccontano storie incredibili non solo sugli uomini ai quali appartennero, quando ancora ad animarli era la vita, ma anche su quelli che in reliquie li hanno trasformati, e sul loro tempo. Si narra dell’anatomopatologo che non resiste alla tentazione ed estrae e taglia a fettine il cervello (sottopeso!) di Einstein, o di quello che recide il pene di Napoleone. Dei tortuosi percorsi di ciocche e capelli di geni ad ampio raggio, siano essi Beethoven o Maradona. Di una nazione atea e bolscevica che mummifica il suo leader, l’unica vera mummia di cui si narra è infatti quella famosa di Lenin.
No, la venerazione non sembra aver bisogno di religione, fosse anche solo quella del pallone, e applica anche alla scienza e a chi ha dato tutto se stesso per crearne i fondamenti, categorie e comportamenti che di razionale non hanno molto: sennò come giustificare le rocambolesche, e a tratti comiche, peregrinazioni dello scheletro di Cartesio o del dito di Galileo di cui si occupò anche il rapper salentino Caparezza, come Castronuovo ben sa e ci racconta.