Recensioni / Segno, un'epifania su bianchi fondali

«Buttare il proprio tarocco con la morte sopra»... Artista poligrafo di formazione cosmopolita accarezzato da Klee, Magdalo Mussio ha riposto nel segno grafico una volontà di riscatto dagli obblighi del pro e del contro: in mostra a Recanati, da «Marcatré» a un congedo spettrale

Al pianoterra di Villa Colloredo, in spazi di grande severità e in tutto degni di un unicum delle nuove avanguardie, è ospitata la mostra Marginalia. Il pensiero figurato di Magdalo Mussio (fino al 30 novembre, info: www.villacolloredomels.it) cui corrisponde un catalogo, a cura di Paola Ballesi (Quodlibet, pp. 173, € 22.00), che in realtà è una monografia arricchita dai contributi critici di specialisti e dalle testimonianze di alcuni poeti (Flavio Ermini, Allì Caracciolo) che di Mussio furono compagni di via.
Attivo nel cuore profondo del suo tempo, nato a Volterra nel 1925 e mancato a Civitanova Marche nel 2006, cosmopolita di nascita e di formazione, tra Parigi, Milano, Roma e gli Stati Uniti, artista poligrafo nel cui gesto liberamente convergevano e si integravano le tecniche più diametrali (la pittura, la grafica, il collage, il disegno animato), il dato primordiale dell'arte di Mussio è la nuda epifania del segno, il suo venire al mondo per esserci e disseminarsi o articolarsi nella dinamica di una proliferazione dove necessità e libertà, inventiva e progetto, nel loro moto lieve e tuttavia incessante, risultano infine una cosa sola. E al riguardo scrive Paola Ballesi, nel nitido profilo introduttivo, che «dallo stadio preconcettuale della conoscenza prende le mosse la ricerca di Magdalo Mussio da sempre attratto dall'humus fecondo in cui le parole sfumano in immagini e le immagini in parole, con un doppio movimento affidato al libero gioco di prospettive e scivolamenti dove percezione e rappresentazione si scambiano i ruoli per tentare di raccogliere segni in gestazione e significati sul nascere».
Della cinquantina di opere esposte (si va da un Disegno-menabò del '64 per la rivista «Marcatré», foglio ufficiale della neoavanguardia, a un Senza titolo. Il silenzio dimenticato del 2005, tecnica mista su carta intonacata, in cui aleggiano croci mitemente spettrali) colpisce il visitatore la coerenza dello stile, che apre e respira nel mare di bianchi fondali, e la immediata riconoscibilità di un segno che cerca di farsi alfabeto. Il segno come esclusiva nominabilità del reale deve essere stata la costante ossessione di Mussio, legato alla ricerca avanguardistica ma sempre da battitore libero e cioè da refrattario ai dogmi di una poetica. Dell'avanguardia Mussio recepisce lo spirito di libertà ma rigetta l'obbligo della trasgressione e lo dice per esempio la leggerezza volitante delle sue lettere/figure, come nello straordinario pannello del '69 L'angelo vendicatore e l'acchiappanuvole, che la tela raccoglie secondo un principio di svagata e però mai gratuita distribuzione: vi si collegano per prossimità metonimica spaccati di paesaggi urbani, di architetture, di piante topografiche, di grafemi ora cancellati ora sottolineati ora soltanto ripetuti che richiamano la nozione lacaniana di «monumento» e dunque di una crittografia che impone di volta in volta una decodifica potenzialmente interminabile.
Né il nome di Lacan viene a caso, perché tra gli anni settanta e i novanta del secolo scorso, quando Mussio arriva nelle Marche per insegnare Tecniche dell'incisione all'Accademia di Macerata e dirigere le raffinate edizioni della Nuova Folio di Pollenza, il suo riserbo si acuisce, la sua ricerca si singolarizza ulteriormente, la sua meditazione procede nel silenzio delle pagine di Heidegger, Blanchot e, appunto, di Lacan. I suoi segni ultimi, così fraterni alla isolata lezione di Paul Klee, sembrano affiorare in un vuoto da dopo-bomba, chiedere ascolto in uno spazio totalmente insonorizzato e disumanizzato in cui resistono soltanto, alla stregua di incisioni cabalistiche o di appelli scagliati verso il nulla, profili di spazi disabitati come nel Bianco su bianco (tecnica mista su tavola, del '97) che sembra annunciare, nel candore più spettrale, un congedo. Nel corso di una conversazione radiofonica con il poeta Franco Scataglini, del 1980, a proposito della sua diversità rispetto ai sodali della neoavanguardia, Mussio confessò: «Questo diverso può essere quello che manca all'avanguardia col terrore di essere se stessi intimamente, il non voler guardare nell'io profondo perché si pensa ti possa portare nel pozzo a cercare la luna. Ma non c'è solo questo, c'è anche il coraggio di cercare un'armonia perduta o di buttare il proprio tarocco con la morte sopra».
Quegli alfabeti in cerca di un disperata connessione e di una imprevista armonia sono il crisma di uno stile classico. Perciò basta salire lo scalone di Villa Colloredo e fermarsi un attimo davanti alla Annunciazione di Lorenzo Lotto: è lì che il visitatore comprende paradossalmente come l`opera di Magdalo Mussio sia oggi davvero al suo posto.