Recensioni / Critica della ragione architettonica

Inizio anni Ottanta. Stefano Boeri frequenta il dottorato di ricerca in Pianificazione territoriale presso lo Iuav di Venezia. Al termine redige una tesi: La città scritta. Trent'anni dopo il testo esce presso l`editore Quodlibet, riscritto e rivisto. Nel frattempo Boeri è diventato uno degli architetti italiani più conosciuti. È stato direttore di Domus, poi anche di Abitare; ha fatto l'assessore alla Cultura nella giunta Pisapia, prima della rottura con il sindaco arancione. Cinque anni fa ha dato alle stampe un libro sull'architettura contemporanea:L'Anticittà (Laterza). Una delle sue ultime realizzazioni, il Bosco verticale, è diventato uno degli emblemi del nuovo skyline di Milano, discusso ma premiato da giurie internazionali come il più bel grattacielo del mondo. Perché Boeri pubblica quella tesi a tanta distanza di tempo? Perché in quel lavoro tutto teorico, svolto con linguaggio a tratti filosofico, si è misurato con la generazione dei suoi maestri. Tre sono gli eroi-serpenti con cui come Laocoonte il giovane architetto combatte e da cui cercava di divincolarsi: Carlo Aymonino, Vittorio Gregotti e Aldo Rossi; sono autori di libri che l`appassionano: Il territorio dell`architettura di Gregotti, L`architettura delle città di Rossi, entrambi del 1966, e il significato delle città di Aymonino del 1975. Sono tutti testi precedenti il 1968, anno di svolta nella società italiana, che non trova posto, almeno in modo diretto, nella discussione che quasi trent`anni dopo Boeri conduce. I tre architetti operano tutti nell`area milanese e costruiscono architetture che l`autore discute nel suo saggio. Sono tre padri che rappresentano un momento decisivo della lettura e della trasformazione della città contemporanea. Si tratta di tre architetti-pensatori che applicano un paradigma derivante dal pensiero strutturalista dominante in quegli anni, cui Boeri aderisce, ma che critica anche. L'allievo-Boeri se ne distanzia per evidenziare che la città di cui i tre architetti razionalisti trattano non coglie fino in fondo le trasformazioni in corso. A loro manca la visione della «rivoluzione della moltitudine, la potenza disgregativa dell`Anticittà». La loro attenzione «è tutta per le zone centrali». Ma c`è anche un quarto architetto, cui Boeri si è riferito come un maestro positivo: Giancarlo De Carlo. A lui sono dedicate le pagine finali del volume. De Carlo è l`uomo che ha affrontato il Sessantotto a testa alta, accettando il confronto con i contestatori, pensando in modo coerente, e soprattutto poetico, l`idea di città futura. Un modello oltre che una proposta concreta per dare un`identità all`Anticittà che avanza ogni giorno di più, l`Anticittà che incombe come un incubo anche nei territori distrutti dal recente terremoto, su cui Boeri insieme ad altri ha fatto nuove proposte: la sua è oggi un`architettura politica in atto.