Recensioni / Nei deserti americani l’uomo è una contraddizione

Ghost town, utopie architettoniche e camper dove si discute di alieni. Giorgio Vasta ha viaggiato fra California e Louisiana alla ricerca del vuoto

Dal 2011 la California soffre una siccità storica, la terra si spacca, la sabbia del deserto è famelica. Il fenomeno sembra il sintomo della paura americana di diventare un parco giochi abbandonato: più l’America rischia di perdere il suo primato politico, più il paesaggio si sbriciola e si sgrana. Il deserto è infatti il luogo in cui i miraggi si tradiscono e si mostrano come abbagli. Nel 2014 il ministro delle risorse naturali della California avverte: «La California sta soffrendo la peggiore crisi idrica della storia moderna». Spariscono 66 milioni di alberi in Sierra Nevada e dal 2015 al 2016 viene tagliato del 25% del consumo idrico in tutto lo stato californiano. È il trionfo del disincanto?
Il paesaggio che si fa polvere è raccontato in un libro ipnotico su deserti americani, ghost town e utopie architettoniche ormai incrostate di sabbia. Absolutely Nothing. Storie e sparizioni nei deserti americani (Humboldt-Quodlibet, pp. 296, euro 22,50) di Giorgio Vasta, con le foto di Ramak Fazel, è il resoconto di un viaggio tra Los Angeles e la Louisiana alla ricerca del vuoto: «Man mano che passano i giorni è sempre più chiaro che a far risaltare il deserto sono i tentativi di contraddirlo. All’inizio, appena qualcuno prova a convincerlo a farsi ospitale accogliendo al suo interno l’umano – dal più piccolo insediamento al più grandioso manufatto architettonico – il deserto risponde assecondando; quando l’eventualità di educarlo sembra essersi trasformata in qualcosa di reale, il deserto reagisce ironicamente. Senza essersene mai andato, ritorna: consuma, disgrega, si infiltra, sommerge; non importa dopo quanto tempo – il deserto ha tutto il tempo che serve».
Le tappe inseguono il disastro: insediamenti nati intorno a miniere poi abbandonate, cimiteri di fusoliere di aerei ridotti a lische. Llano del Rio città circolare con case progettate da Alice Constante secondo criteri "femministi" – vede presto la comune dichiarare fallimento. L’America raccontata da Vasta è orizzontale, preistorica, esala putrefazione, è punteggiata di stabilimenti chiusi, hotel dismessi, camper, yucca in sterpi. Gli abitanti trotterellano con birre in mano e cappelli di paglia, discutendo di alieni; altre forme di vita sono lucertole albine, cavallette in fuga, cani che ululano, coyote, gufi, serpenti. È un’America ossidata, tutta ruggine e scricchiolii.
Alla fine del Settecento, Franois-René de Chateaubriand torna dall’America e scrive un poema sentimentale ambientato nei deserti americani, Atala. Di Atala, indiana figlia del deserto, si innamora Chactas. Il Romanticismo francese è influenzato all’origine da un’opera (1801) in cui «tutto si svolge nella rappresentazione dei turbamenti d`amore, in mezzo alla calma dei deserti». Il libro di Giorgio Vasta è lontano dalla mistica on the road di Jack Kerouac e dalla retorica dei libri di viaggio che ridisegnano le strade del mondo come infiniti cammini per Santiago de Compostela. Qui il viaggio non arricchisce, non infonde spiritualità a buon mercato.
Per Vasta spostarsi è privazione e sconcerto, è farsi preda dei luoghi: «solo la preda conosce davvero». Viaggiare è smarrirsi: «Non so dove mi trovo, se la sabbia su cui mi sono accovacciato è dell’Arizona o se è già californiana, e in fondo poco importa». Se proprio si deve individuare un maestro si potrebbe risalire a W.G. Sebald, specialista di disorientamenti. Absolutely Nothing è un’elegia del nulla in cui l’occhio è attratto dai paesaggi nudi. Dopo il romanzo Il tempo materiale (minimum fax), Vasta ha scritto uno dei libri di viaggio più importanti degli ultimi anni con un linguaggio che può tenere testa al deserto perché possiede le sue stesse abilità: inebria, è ferroso, nasconde la vita.
Prima della fine del libro, Vasta spiazza il lettore «rivelando che absolutely nothing è in realtà absolutely nobody, e che dunque il nulla radicale del titolo è un modo per dire, evitando di dirlo in modo esplicito, che l’oggetto di queste pagine è la sparizione di una persona». Un nome femminile fa deragliare il libro a pagina 232: «capitava a volte che Lucia mi rimproverasse, scherzando ma sul serio, di non avere mai scritto di lei, sicura che l’avrei fatto dopo, in un futuro in cui non saremmo stati più insieme: quello che sta succedendo». Avevano ragione i padri del deserto che nei primi secoli di cristianesimo sparivano in luoghi aridi: «chi siede nel deserto per custodire la quiete con Dio è liberato da tre guerre: quella dell’udire, quella del parlare, e quella del vedere. Gliene rimane una sola: quella del cuore».

Recensioni correlate