Recensioni / I dialoghi amorosi di Handke tra coppie invisibili

Aranjuez è una cittadina a sud di Madrid, già residenza estiva dei sovrani spagnoli, con un parco e un grande castello, ma in questo libro di Peter Handke (I bei giorni di Aranjuez, Quodlibet, pp. 92, euro 14,50, trad. e cura di Alessandra Iadicieco) è evocata solo come ricordo, per una visita fatta alla «Casa del Labrador» («È bastato il suo nome a indurmi a partire»), detta anche «Casa dell’agricoltore», anch’essa in quel parco, «dove almeno aleggiava un soffio di vita umana» e dove il protagonista aveva sperato di trovare «la luce di un atto d’amore», «la capanna di un tempo passato come rifugio per un futuro quale non può esserlo nessun edificio del presente». E infatti il dialogo immaginato da Handke tra un uomo e una donna senza nomi avviene in «un giorno d’estate al di fuori del tempo ordinario», in un giardino, tra «alberi invisibili, solo udibili».
All’uomo il compito di raccontare la natura, di dare i nomi agli alberi, ai fiori, agli uccelli, di interpretare i loro movimenti. E di porre le domande, perché la donna senza domande rimane «cieca e muta». Così, cercando di rispondere sulla sua prima volta, lei finisce col narrare un momento d’infanzia, su di un’altalena, «con uno slancio sempre più grande», fino a un certo momento, quando, «toccato il culmine», subentrò un rallentamento, «qualcosa che si schiuse, prese a ribollire», «qualcosa in me, e al tempo stesso al di fuori di me». E da quel momento è diventata «regina in esilio», perché «derubata al tempo stesso non solo dell`infanzia bensì di qualsiasi legittimità di essere un abitante di questo pianeta terra». In esilio, ma dotata di una «seconda spina dorsale, più forte».
La donna, rispondendo alle domande, prende così a raccontare la propria vendetta. Uno spirito vendicativo che pur avendo bisogno del corpo degli uomini, non era diretto contro un uomo o contro gli uomini, ma contro «un preciso ordine del mondo». Una vita riempita da uomini mai intesi come amanti, piuttosto complici di un atto di vendetta, da tagliare fuori dopo la «festa dei corpi». Una donna attratta da uomini fragili, quelli che hanno negli occhi una «tristezza insanabile», perché privi dello sguardo del cacciatore e coscienti della irraggiungibilità della lei di cui si sono innamorati. Ma la donna di questo dialogo è anche quella che «una volta» odiava le donne, perché abbandonatesi a una «bellezza ostentata», a una bellezza acquistabile.