Recensioni / Quando Moravia cantava nel deserto

Ci sono scrittori che sono diventati scrittori viaggiando, come Bruce Chatwin e Patrick Leigh Fermor, e ci sono viaggiatori che viaggiando sono diventati scrittori, come Marco Polo e Alexandra David-Néel. E poi ci sono gli scrittori che hanno raccontato i propri viaggi. Di recente sono usciti tre bellissimi libri di questa categoria, arricchiti da fotografie, di tre importanti scrittori italiani: Alberto Moravia, Emanuele Trevi e Giorgio Vasta […]. «Io voglio essere divorato dal viaggio» dice Giorgio Vasta in Absolutely Nothing. Storie e sparizioni nei deserti americani (Quodlibet-Humboldt, 296 pagine). Leggendo troviamo tre energie che ci colpiscono: la forza della lingua di Vasta, la potenza di una nazione, tanto monolitica quanto sfaccettata, divisa, e le fotografie folgoranti di Ramak Fazel. «Durante il viaggio abbiamo visto molte persone obese, soprattutto sedute nei McDonald’s e negli Starbucks dove ci fermiamo a colazione. Sono nubecole chiare o scure, secondo la maglietta che indossano; anche quando sono in compagnia appaiono separate, assorte, come se la moltiplicazione del convesso generasse una vera e propria refrattarietà». Lo scrittore e il fotografo percorrono ottomila chilometri, dalla California alla Louisiana. Ci raccontano l’America dei deserti, delle città fantasma, dei cimiteri di aerei, canyon, supermercati, baracche, camper, luoghi in cui «non si percepisce mai una densità». Motel. Cactus. Quelle città costruite a tavolino in terre sconfinate e polverose. Come Las Vegas. «Rispetto a ciò che è possibile immaginare e poi realizzare in concreto, al sensato e all`insensatezza più chiassosa, sui due lati di questa carreggiata è censita, come in uno smisurato catalogo orizzontale, ogni morfologia concepibile, la schizofrenia sotto forma di architettura». Ma il viaggio di Vasta è anche dentro se stesso, dentro la sua percezione di America, e dentro il senso del viaggio per l’uomo contemporaneo dove invece dell’arricchimento, «viaggiare è sinonimo di privazione e sconcerto».
Come dice Moravia ad Andermann: «Insomma il viaggio allunga la vita, per questo tanti viaggiano, perché hanno paura di morire».

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